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Ponte Morandi, Gianluigi Paragone svela la strategia per riabilitare i Benetton

Gianluigi Paragone
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Alla fine si è scusato, ma solo perché l'indignazione per quelle parole orribili era ormai insostenibile. Persino per lui, per Oliviero Toscani, che della provocazione ne ha fatto una cifra professionale e forse caratteriale. Ma le parole, certe volte, restano come un'immagine choc, una delle tante che lui stesso ha bloccato con la propria macchina fotografica per diffondere il brand Benetton. «Ma a chi interessa se casca un ponte?» aveva risposto ai conduttori della popolare trasmissione radiofonica Un Giorno da Pecora, Geppi Cucciari e Giorgio Lauro, colpiti anch'essi dalla violenza o dal menefreghismo di quell'espressione. Oliviero Toscani è un maestro delle frasi forti, delle provocazioni, e chi lo invita sa che questi registri sono funzionali al dibattito. Stavolta però non c'era provocazione, c'era menefreghismo, distacco, apatia. Almeno così è parso a tutti. Poche parole a volte sono sufficienti per lasciarti senza fiato, come in trance. Ecco, parole come ti bloccano come accade con uno scatto fotografico. Il senso tragico di quelle parole ha rimandato al dramma di un crollo che ha provocato 43 vittime; l'istantanea di quel ponte mozzato ha fatto il giro del mondo. Come poteva dunque, il vecchio Toscani, non sapere che il carico della sua affermazione non avrebbe riaperto ferite profonde? Lo sapeva, tanto che nemmeno di fronte al tentativo dei conduttori di rimetterlo in carreggiata, il fotografo di Benetton ha fatto retromarcia. Anzi. E allora perché? Purtroppo non posso non pensare che dietro vi sia assenza di una folle strategia, quella cioé di tentare di riabilitare l'amico Luciano. Sminuire il senso tragico di quel crollo significa sminuire la responsabilità di chi doveva manutenere quell'infrastruttura. Del resto non era stato lo stesso Luciano Benetton a scrivere una lettera in cui si scusava per ciò che avevano fatto i «suoi» dirigenti ma anche per lamentarsi dell'odio sociale che gli haters muovevano sui social contro di lui? Certo che sì. Tutto studiato per ripulirsi e non farsi sfilare la gallina dalle uova d'oro: le concessioni autostradali. Dopo quel crollo i Benetton non ne hanno azzeccata una, dal notevole ritardo delle scuse alla buonuscita d'orata del manager Castellucci. Nulla è servito, nonostante editori, direttori e giornalisti amici, nonostante la fitta rete relazionale, nonostante le conoscenze politiche. Nulla, per la maggioranza degli italiani quelle concessioni vanno tolte e i Benetton devono pagare. Per piglio giustizialista? No, per senso di giustizia: per il crollo di un bene pubblico mal gestito, per i morti provocati, per il danno economico provocato a una economia reale paralizzata da un'arteria autostradale interrotta e da un cantiere che ha troncato in due la città. E poi per il menefreghismo e la sciatteria che le intercettazioni legate all'indagine dei magistrati hanno fatto emergere: il profitto prima di tutto. Benetton insomma aveva e ha bisogno di un amico che faccia il miracolo della resurrezione: Oliviero Toscani appunto. Lui che si è rifatto vivo, lui che ha elogiato l'amico imprenditore, lui che ha portato le Sardine a «posare» con Benetton nella speranza che il Bene purifichi il Male, che i Buoni contaminino il Cattivo. E poi, l'altro giorno in radio, lo choc più forte: banalizzare il crollo del ponte, relativizzarlo a fatto di cronaca. O anche solo provare a farlo per vedere se ci fosse una reazione diversa da parte di chi ascolta il messaggio (in tal senso si può parlare di provocazione). Invano. I familiari non possono dimenticare nè accetteranno mai di essere offesi. Gli italiani non vogliono che i beni collettivi siano nella disponibilità dei prenditori in regime di concessione. Stavolta l'arroganza non passerà. E sarà bene che anche il governo non prenda in giro i familiari, i genovesi, i liguri e gli italiani: basta manfrine e ci dicano - al netto delle indiscrezioni - cosa intendano fare. Perché il tempo passa e resta solo un gran volume di parole.

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