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Gianluigi Paragone, così sfida Di Maio: se la sta facendo sotto, faccia votare Rousseau

Davide Di Santo
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«Egregio Senatore...». Non ho più nemmeno il nome nelle comunicazioni ufficiali del Movimento; sono solo un «egregio senatore» al quale ratificare l'espulsione dal gruppo parlamentare «in conformità delle procedure» esperite dal collegio dei (poco) probiviri. Per approfondire leggi anche: Finisce a carte bollate, e spunta l'avvocato degli espulsi grillini Sulla conformità delle procedure ci torneremo, intanto aggiungiamo una perla alla comunicazione obbligatoria del povero e incolpevole capogruppo Gianluca Perilli (se non l'avesse fatto sarebbe incorso in una violazione sancita da sanzione, giuro!). La perla è questa: «A tal proposito La informo che il Capo Politico del Movimento 5 Stelle, esercitando la facoltà prevista dall'articolo 21 del regolamento del Gruppo del Senato, con comunicazione del 2 gennaio 2020, mi ha chiesto di procedere alla Sua espulsione in via diretta senza ratifica da parte degli iscritti». In poche parole, Di Maio ha paura ad affrontare in rete la ratifica della mia cacciata da parte degli iscritti. In poche parole, se la fa sotto. E fa bene, per questo lo sfido: sottoponga la mia espulsione alla ratifica della rete, facciamo valere le ragioni della trasparenza e dell'onestà e vediamo come va a finire. Di Maio non lo può fare, sa benissimo di perdere quel poco di potere che gli resta appiccicato a una leadership sempre più esile. Finché sono io a definirlo il Nulla tutto sommato conta poco, ma se persino il segretario di Stato americano Mike Pompeo lo considera un Nulla, allora c'è un problema. Nel mio piccolo tenterò di dargli una mano e recuperare almeno l'onore e la faccia: sottoponga alla rete la mia espulsione senza ricorrere a scorciatoie e mi sfidi sul programma. Vediamo se gli attivisti che si sono fatti un mazzo così ai gazebo in questi anni preferiscono il diritto feudale Pomiglianese o la trasparenza delle regole. Poiché non ho paura calo già le mie ragioni. Primo punto. Ho diritto a essere giudicato da un giudice terzo? Se sì, allora il collegio dei probiviri e il collegio dei Garanti - a cui ho fatto formale appello - non può essere composto da membri del governo, visto che l'accusa che mi si muove è non aver votato la fiducia sulla Manovra quindi per questo passibile di espulsione. Tra i probiviri c'era la ministro Dadone; nei Garanti ci sono due viceministri: Cancelleri e Crimi. Se invece non ho diritto ad avere un giudice terzo, allora siamo in presenza di un complesso di norme arbitrarie, ispirate da logiche feudali. Insomma vige il diritto di Pomigliano d'Arco, secondo il quale a prescindere dalle ragioni di merito si giudica secondo simpatia o convenienza. E veniamo al secondo punto, quello di merito; quello che fa sostenere ai mie giudici e ai miei critici che io sono fuori dalle regole del codice etico. Entrino le carte! Articolo 3 del codice etico: Obblighi per i portavoce eletti sotto il simbolo del Movimento 5 Stelle. È qui che si nasconderebbe la prova regina delle mie colpe. Pronti? Bene, l'articolo 3 prevede - appunto - una rigorosa elencazione di ciò che il portavoce deve fare. Tralascio i primi due punti e arrivo al terzo che testualmente impone «a compiere ogni atto funzionale all'attuazione e realizzazione del programma del Movimento 5 Stelle e ad astenersi da qualsivoglia comportamento che possa risultare di ostacolo per l'attuazione e realizzazione del programma medesimo». Solo cinque punti più sotto si trova il mio capo d'accusa: «si obbliga a votare la fiducia, ogni qualvolta ciò si renda necessario, ai governi presieduti da un presidente del consiglio dei ministri espressione del Movimento 5 Stelle». Sono nel pieno rispetto del codice etico. Votando no alla manovra ho chiesto l'attuazione e la realizzazione del programma elettorale laddove si respingono fermamente e ripetutamente le regole di bilancio di Bruxelles. Ergo, mi sono astenuto da qualsivoglia comportamento «che possa risultare di ostacolo alla realizzazione del programma». Questo obbligo, si badi bene, è assoluto e perentorio. A differenza dell'obbligo che disciplina il voto di fiducia. L'obbligo di votare la fiducia infatti è «relativo» laddove si specifica l'inciso «ogni qualvolta si renda necessario» e questo sta a significare che il voto di fiducia sul programma di governo è subalterno rispetto alla realizzazione del programma del Movimento. Tralascio persino la parte inerente alla figura del presidente del consiglio «espressione del Movimento» visto che è stato lo stesso Conte a precisare che «definirmi dei Cinquestelle è inappropriato» (infatti un premier espressione del M5S non avrebbe mai autorizzato il Tav). Dunque le ragioni sia politiche che del diritto sono dalla mia parte. E l'espulsione smentisce ogni regola, se non quelle arbitrarie. Di Maio, arrogandosi l'arbitrio dell'espulsione al pari di collegi giudicanti in conflitto di interessi, sta palesemente tradendo quei principi sacrosanti di trasparenza e legalità che ispirano il Movimento. Per questo lo sfido a mettere ai voti su Rousseau, correttamente e senza inganni, la mia espulsione. Paura eh... Ps. Gentile Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, lei sapeva queste cose? Ora che le sa, che intende fare? Riconosce la supremazia del diritto di Pomigliano o delle giuste regole? E ancora. Io sto con lei nella battaglia della giusta durata dei processi, per questo le domando: quanto deve attendere la portavoce Giulia Sarti (un nome tra i tanti) per una decisione da parte del collegio dei probiviri? Mi risponda nel merito.

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