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Mes simbolo del flop dell'Ue. La verità sulla Germania

La moneta unica ha ridotto sul lastrico gli Stati membri

Gianluigi Paragone
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Mentre il governo italiano manda la palla in tribuna fingendo di aver trovato una soluzione sul fondo SfasciaStati e mentre l'Europa gigioneggia come l'orchestrina a bordo del Titanic, accade che il Giappone mette sul tavolo una fiche da 13,2 miliardi di yen pari a un 109 miliardi di euro. Il "Sole 24 Ore" titolava così la notizia:«Il Giappone punta su un maxi-piano di stimoli fiscali contro la recessione». Un bel minuetto di parole per dire che il Sol Levante aziona la leva della spesa pubblica con una iniezione di capitale pari a cento-nove-miliardi! E tanti saluti al Mes, ai parametri, e al dibbbattito «debito pubblico brutto sporco e cattivo». 109 miliardi di euro da spendere in pochi mesi in riduzioni fiscali e investimenti con l'obiettivo di generare altri investimenti privati e arrivare a un bel 1.4% di pil. Questo fanno i Paesi sovrani, quelli che non hanno la tara mentale delle regole idiote che ancora costringono l'eurozona a correr dietro al fanatismo e all'egoismo della Germania e del Nord Europa. Giovedì sera ero ospite di Corrado Formigli a "PiazzaPulita"con la professoressa Elsa Fornero, la quale – da buon giannizzero del neoliberismo – decantava le lodi del Meccanismo europeo di stabilità e si lanciava nel solito pippone sulla spesa pubblica cattiva attaccandosi agli sprechi come se fosse una specialità tutta italiana. Il Giappone non è immune da ruberie: la sola differenza è che in quel fazzoletto di terra se rubi vieni marchiato a vita come un traditore (tanto che non sono pochi i casi di suicidio per vergogna), mentre qui ti avvali di un sistema giudiziario dove i colletti bianchi si salvano sempre. Insomma, non sapendo risolvere i problemi del magna-magna ce la prendiamo con la spesa pubblica come se fosse un virus infettivo. Con la conseguenza che poi privatizziamo e liberalizziamo a favore di privati che diventano padroni di ciò che lo Stato seppe costruire (dalle telecomunicazioni alle autostrade, le regalie agli amici si sprecano...) con denaro pubblico. Mentre tentavo di spiegare queste cose, il mio amico Corrado rilanciava il mito dell'Italia sprecona e incapace, che pensa di liberarsi dai propri mali prendendosela con la Germania, quando nella globalizzazione bisogna fare i conti con «i dazi di Trump e la Cina». In questa girandola di suggestioni, si perdevano di vista alcuni aspetti, quali per esempio il fatto che i dazi li mette pure l'Unione europea e che la Cina va in giro a fare shopping di asset per mano di fondi finanziari controllati dallo Stato, con il paradosso che noi ci inventiamo penalizzazioni a nostro danno come il divieto degli «aiuti di Stato» e poi ci facciamo comprare dalla finanza di Stato ora cinese ora araba. In poche parole, il Mes non si tocca altrimenti chi lo tocca nasconde l'idea di uscire dall'euro. Il vecchio fondo sfasciaStati è figlio degli stessi errori di cui da anni gli economisti dibattono: l'eurozona ha presupposti giusti o sbagliati? I risultati parlano chiaro. «L'Italia è andata male da quando l'euro è stato introdotto. Ma nemmeno l'eurozona nel suo complesso è andata bene». A pronunciare queste parole non siamo né io, né Borghi, né Bagnai, né Di Battista, né Salvini o la Meloni, bensì Joseph Stiglitz in un articolo pubblicato da "MicroMega" – una terribile rivista sovranista! – all'indomani della formazione del governo gialloverde, «un governo euroscettico, la qual cosa non dovrebbe sorprendere nessuno» perché è stata la reazione prevedibilissima – prosegue il premio Nobel – alle conseguenze di un «accordo valutario mal progettato nel quale la potenza dominante, cioè la Germania, impedisce le riforme necessarie e insiste su politiche che peggiorano i problemi sul tavolo». Giovedì sera in tv alla neoliberista Elsa Fornero ho letto proprio le parole di Stiglitz. Aggiungendo la scudisciata finale dell'accademico americano: «Se un paese va male è colpa del paese; se molti paesi vanno male è colpa del sistema e l'euro è un sistema praticamente progettato per fallire». Ovviamente siccome le parole di Stiglitz (e le stesse arrivano da altri economisti Nobel e non) smontavano l'impostazione della trasmissione, il bravo conduttore l'ha liquidata con un sostanziale «E va beh, non è che se l'ha detto un Nobel va bene...», aprendo così la strada a Madre Elsa da Torino la quale un riconoscimento così prestigioso non l'ha avuto, ma addirittura rappresenta ancora l'esempio sciagurato delle politiche di austerity interpretate dal maldestro fu governo Monti. Ps. Assieme a me, ospite della trasmissione, c'era Filippo Riniolo, un giovane artista romano; al termine della nostra discussione Formigli ha mostrato al pubblico due opere di Filippo. Entrambe le opere erano «contro» la Angela Merkel; una di queste raffigurava la Merkel con la pistola puntata. Gelo in studio... E meno male che ero solo io a pensare che il problema dell'Europa si chiama proprio Germania. Se non vogliono ascoltare i Nobel, chissà se il pensiero mainstream almeno darà retta a un artista coi capelli rasta...

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