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Si tratta per il governo rossogiallo. Il Pd apre a Conte ma non a Di Maio

Delegazioni dem e M5s al lavoro su un documento comune

Davide Di Santo
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Dal vertice annullato al clima positivo. Partito democratico e Movimento 5 Stelle hanno vissuto una nuova giornata sulle montagne russe alla ricerca della quadra in quella trattativa che dovrebbe portare ad un governo rossogiallo. Il summit di Montecitorio, con i capigruppo e i vice dei due schieramenti riuniti allo stesso tavolo ha fatto registrare una 'fumata grigia' che sembra preannunciare il varo del prossimo esecutivo. Sul lato M5s, la nuova proposta di governo sara' votata su Rousseau "entro la prossima settimana". Lo annuncia il capo politico M5S Luigi Di Maio in un post sul blog. "Il confronto tra le forze politiche su questa base sarà portato avanti dal presidente del Consiglio che eventualmente domani potrebbe essere incaricato dal Presidente Mattarella. Alla fine di questo percorso ci sarà una proposta di progetto di governo che sarà votata online su Rousseau dagli iscritti", annuncia Di Maio. Un'accelerazione arrivata dopo i contatti tra il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il segretario Pd e che ha avuto al centro i principali nodi politici della vicenda. I dem aprono su Conte, infatti, ma chiudono sulla possibilità che sia di nuovo Luigi Di Maio il suo vice premier. La linea è che, se Conte sarà il premier espressione dei 5 Stelle, il vice premier unico non può che essere indicato dal Pd. Di nomi, spiega il presidente dei senatori dem Andrea Marcucci, non si è parlato, ci si è soffermati sui punti programmatici. Eppure è stato proprio sui veti incrociati tra Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio che si è sfiorata la rottura. In mattinata, prima dell'atteso vertice a palazzo Chigi fissato per le 11, una nota del M5s fa sapere che davanti all'incertezza del Pd, Di Maio e compagni preferiscono aspettare il pronunciamento degli organi statutari dei dem. Ovvero la direzione convocata per le 18. Il segretario viene avvertito con una telefonata da palazzo Chigi. Troppo tardi, per i tempi della crisi. E, infatti, dopo la nota di Di Maio, il parlamentino dem subisce uno slittamento. Se ne riparlerà domattina alle 10. Ma intanto Zingaretti convoca la cabina di regia sul programma, una sorta di gabinetto di guerra per fare il punto sugli ultimi sviluppi. Anche perché, al fondo delle tensioni, non c'è solo l'incertezza del Pd lamentata da Di Maio, ma soprattutto le condizioni poste dal vice presidente del Consiglio in carica. I dem lo accusano di una eccessiva attenzione alle proprie ambizioni, a discapito dell'interesse nazionale che, ad oggi, imporrebbe di confrontarsi sui contenuti del programma per disinnescare l'Iva, anzichè fossilizzarsi sulle poltrone. E le poltrone a cui Di Maio guarderebbe, per il Pd, sono quelle di vice Premier e ministro dell'Interno. È quest'ultima richiesta, in particolare, a mettere d'accordo tutti, dai renziani ai membri della segreteria guidata da Nicola Zingaretti: pur di non vedere Di Maio al Viminale, avverte l'ex tesoriere di area Renzi Francesco Bonifazi, meglio il voto. Un concetto condiviso su Twitter dal coordinatore della segreteria dem, Andrea Martella, che aggiunge: «Il Pd sta facendo uno sforzo enorme per dare una risposta al caos creato dai gialloverdi. Salari, ambiente, sanità, scuola, infrastrutture, diritti, sicurezza: confrontiamoci su questo. Basta ultimatum». La ricostruzione dei dem, però, viene smentita dallo stesso Di Maio attraverso fonti a lui vicine: «Di Maio non ha mai chiesto il Viminale per il M5S. Prima per noi vengono i temi», viene spiegato. Stando a fonti parlamentari M5s, il punto di caduta potrebbe essere quella della vice presidenza del consiglio di Di Maio con Giuseppe Conte premier. Un punto, quest'ultimo, «su cui Zingaretti non si è ancora espresso», viene fatto notare dalle stesse fonti che non escludono che Di Maio possa rimanere al Mise, ma senza la doppia delega Lavoro-Sviluppo Economico. Ipotesi che, in assenza di un dialogo con il Pd, sono destinate a rimanere tali. Intanto, tra i dem è in corso una vera e propria sollevazione contro l'interlocutore 5 Stelle. Viene rivendicato il lavoro su contenuti e programmi messo in campo negli ultimi giorni e chiesto che non si sacrifichi tutto sull'altare delle poltrone. Ma nel Pd si alza anche la voce di Carlo Calenda, stanco di «prendere schiaffoni da Di Maio». L'ex ministro è una delle voci contrarie all'intesa con M5s e chiede al suo partito di ritrovare l'orgoglio: «Iniziano le consultazioni e noi stiamo prendendo da giorni schiaffi da Di Maio e soci... Zingaretti aveva detto No all'accordo, calarsi le braghe non si può». Altro spettatore interessato del dialogo Pd-M5s è Matteo Salvini che offre la sua personale ricostruzione dei fatti delle ultime settimane: «Conte evidentemente stava preparando da tempo questa manovra su suggerimento di Macron». Intanto, come si diceva, Sergio Mattarella tra poche ore aprirà il secondo giro di consultazioni, in base al calendario fissato ieri che resta confermato: oggi i presidenti delle Camere e i gruppi Misto di Camera e Senato, domani gli altri partiti dalle 10 alle 19. Tra domani sera e giovedì mattina il presidente tirerà le somme mentre una ulteriore richiesta di tempo non verrebbe presa in considerazione. proprio dal Quirinale, tuttavia, arrivano i primi segnali che il clima sta cambiando. Le delegazioni, nelle dichiarazioni alle telecamere, sembrano dare per scontata la formazione del nuovo esecutivo. Dalla war room del Pd filtra un certo fastidio nel rilevare che Di Maio insiste per avere l'incarico di vice premier. È impensabile ripetere lo schema che ha portato al fallimento del precedente governo, viene spiegato. Andrea Marcucci esce ed annuncia il vertice con gli esponenti M5s a Montecitorio. 

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