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Anton Dante Coda, a confronto sul diario di politica e di banca

Il libro "Un malinconico leggero pessimismo" raccoglie incontri, retroscena e aneddoti del primo presidente dell'Istituto bancario San Paolo di Torino nel secondo dopoguerra

Valentina Pelliccia
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È stato presentato nella Sede centrale di Confedilizia di via Borgognona a Roma il libro di Anton Dante Coda "Un malinconico leggero pessimismo. Diario di politica e di banca (1946- 1952)", curato dal professor Gerardo Nicolosi, docente di Storia dei movimenti politici e Storia globale dell'età contemporanea dell'Università di Siena. L'incontro, moderato dal giornalista e fondatore della Scuola di Liberalismo Enrico Morbelli, ha visto gli interventi del Professor Gerardo Nicolosi, del Professor Paolo Varvaro dell'Università Federico II di Napoli e dell'Avvocato Corrado Sforza Fogliani, Presidente della Banca di Piacenza e Presidente del Centro studi Confedilizia. Presente la nipote di Anton Dante Coda, Simonetta Toso, più volte citata nel libro. L'opera, pubblicata dalla Fondazione 1563 per l'Arte e la Cultura della Compagnia di San Paolo, ha impegnato il Professor Nicolosi in un grande e complesso lavoro, durato tre anni, di ricerca, recupero di fonti, studio e organizzazione di carte sciolte, articoli di giornale, fotografie riguardanti uno dei più attivi esponenti del liberalismo in Piemonte: Anton Dante Coda. Primo Presidente dell’Istituto bancario San Paolo di Torino nel secondo dopoguerra e antifascista vicino a Emanuele Sella, convinto sostenitore della collaborazione centrista insieme a Luigi Einaudi, entrò nell'entourage di Benedetto Croce e di Giustizia e libertà, cosa che gli costò un arresto nel 1935. Attivissimo durante la Resistenza e membro autorevole del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia, Coda si impegnò poi nella riorganizzazione del Partito liberale nel nord e fu membro della Consulta nazionale. La sua nomina a Presidente dell’Istituto di San Paolo nell’aprile del 1946 maturò per volontà di Einaudi che ne apprezzava le doti organizzative, la dirittura morale e il carattere deciso, anche nel contrastare le ingerenze dei partiti. Il Diario, rivisitato dal Nicolosi, è una testimonianza del ruolo di Coda nella conduzione di una delle più prestigiose banche italiane, ma, più in generale, è una importante fonte per la ricostruzione dei rapporti tra banche, mondo imprenditoriale e politica nell’Italia del dopoguerra. "Coda era un banchiere con la "schiena dritta", che si distingueva da chi invece svolgeva il proprio ruolo con finalità clientelari", ha riferito il Professor Gerardo Nicolosi. "Il suo impegno era giustificato dalla volontà di ripristinare in Italia un regime di libertà, senza altri fini di tipo particolaristico. Con il ritorno alla democrazia, quel clima di concordia tra tutte le forze politiche italiane si spegne ed emergono sempre di più logiche "di partito" a danno dell' interesse generale. Coda, come d'altronde altri liberali, era stato premonitore delle derive partitocratiche del sistema politico italiano, che poi esploderanno negli anni del centro-sinistra. E questo in particolare dalla sua posizione a capo dell'Istituto San Paolo di Torino, quando deve fronteggiare le richieste sempre più pressanti di credito da parte di imprenditori, che si avvalgono dell'intermediazione dei partiti, tutti proporzionalmente ben rappresentati nei consigli di amministrazione delle banche. E' vero che il mondo delle banche deve necessariamente rapportarsi al mondo della politica, ma un banchiere deve farsi guidare da logiche bancarie e non politiche. Per esempio, come diceva Einaudi a Coda, una banca deve prestare soldi a chi può restituirli e non a chi è semplicemente appoggiato da un grande partito. Il riferimento all'oggi è a quello che si è sentito a proposito delle ingerenze della politica in alcuni grandi, medi e piccoli Istituti di credito italiani, poi finiti male". "Ho pubblicato l'opera- ha affermato il Professor Nicolosi- perché è una fonte importante per la storia della politica italiana negli anni della ricostruzione. C'è poi, come sempre, una motivazione più strettamente etico-politica. Mi sembrava una bella pagina di borghesia operosa, in anni di grande difficoltà, quelli del dopoguerra. Dopo il disastro del fascismo e della guerra, l'Italia è ripartita proprio grazie a una classe dirigente composta da gente come Anton Dante Coda". Alle sue doti di banchiere di notevole intransigenza morale si aggiungono quelle di umanista, amante dell'arte, della musica, del cinema, del teatro, della letteratura e soprattutto dei viaggi. "Il libro è racchiuso in un periodo breve, 1946- 1952, eppure, si tratta di un periodo molto denso per la storia d'Italia e per Anton Dante Coda", ha poi sottolineato nel suo intervento il Professor Paolo Varvaro. "Egli fa parte di quella leva di giovani che si sono affacciati alla politica con la Resistenza e che non hanno avuto come primario interesse della loro vita quello di ricoprire una carica pubblica. Hanno conquistato un ruolo nella società civile, hanno sempre pensato alla politica come servizio e hanno sempre cercato di trasferire nella politica le migliori qualità della società civile". Ma, la dote indiscutibile del Diario, come ha sottolineato l' Avvocato Corrado Sforza Fogliani, Presidente della Banca di Piacenza e Presidente del Centro studi Confedilizia, è da ricercare nella sua fluida narrazione, e soprattutto nella ricchezza di notizie, informazioni, personaggi, intrecci finanziari e politici e vicende di quel periodo storico che Anton Dante Coda descrive e vive con "un malinconico leggero pessimismo". La ricostruzione storica  effettuata dall’autore non vuole essere, a detta dello stesso  Nicolosi, una rivisitazione nostalgica del periodo, ma un modo di evidenziare degli anni importanti nel rapporto politica e banche in cui l’Italia trovò la forza di inserirsi nel novero dei Paesi più sviluppati grazie ad una classe dirigente responsabile e un contesto sociale sensibile. “Certo -aggiunge- se i responsabili degli Istituti bancari e, al contempo anche i responsabili della politica economica nazionale si ispirassero all’insegnamento di Einaudi, cui sempre guardò Anton Dante Coda, non sarebbe affatto male !”  

di Valentina Pelliccia  

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