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Governo, Di Maio aspetta Salvini

Luigi Di Maio

Silvia Sfregola
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Il Movimento 5 Stelle non cambia linea: il presidente del Consiglio deve essere Luigi Di Maio o il governo non si fa. È questa, in sintesi, la strategia scelta in vista del secondo giro di consultazioni al Quirinale. Il capo politico pentastellato si è tenuto ben lontano da Roma nelle ore più calde di questo nuovo passaggio della legislatura, ma in costante contatto radio con i suoi uomini all'opera nei palazzi della politica. I pontieri, infatti, hanno continuato senza sosta a dialogare con le altre forze politiche, dalla Lega al Pd, a Fratelli d'Italia e Forza Italia, ma le "interlocuzioni" non hanno prodotto grandi risultati. Tanto che lo stesso Di Maio è stato costretto a dichiarare pubblicamente di rispettare le discussioni interne al centrodestra e al Partito democratico e per questo si rende disponibile a concedere altro tempo ai possibili contraenti dell'ormai famigerato 'contratto' di governo. Il leader Cinquestelle vuole un vero esecutivo "di cambiamento", altrimenti "non vale la pena" andare a Palazzo Chigi tanto per piantare bandierine. Ma per riuscire nella sua impresa deve "liberarsi" da quelle che considera pesanti "zavorre", come Silvio Berlusconi, al quale da Isernia ha rivolto un nuovo appello a "cedere il passo alle nuove generazioni" (leggi Salvini) dopo 24 anni passati al centro della politica. Quella di Di Maio non è solo voglia di sopravanzare un diretto competitor, ma una vera e propria "opa" sull'elettorato del Cav. Forte del concetto fondante del Movimento, cioè che destra e sinistra sono categorie del secolo scorso (sdoganando il colore dei voti), sta a poco a poco sfilando gli storici cavalli di battaglia a Forza Italia: dalla burocrazia che opprime i cittadini alle imprese soffocate da tasse e "scartoffie", ma anche la giustizia lenta e senza tempi certi per le sentenze, che allontanano gli investitori esteri dal nostro Paese. Chi segue la politica da qualche anno, questi argomenti li ha sentiti ripetere spesso dalla bocca di Berlusconi. Per non parlare dell'idea di trasformare Cassa depositi e prestiti in una grande "banca pubblica di investimenti" che fornisca alle imprese accesso al credito a tasso moderato. Musica per le orecchie di chi ha sempre votato Forza Italia, aspettando la "rivoluzione liberale". Mentre per qualcun altro, tipo il Pd, lo spartito sarà suonato come una profonda stonatura. Poco male, perché al momento dei dem non c'è traccia nei discorsi pubblici di Di Maio. I suoi appelli sono rivolti sempre nella stessa direzione, via Bellerio, sperando che Salvini prima o tardi ceda al suono delle "sirene" pentastellate.

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