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Una legge che ha punito solo il Cav E che non vale per la sinistra

Il governatore della Calabria Scopelliti si è dimesso. De Magistris e De Luca invece no 

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Che legge quella legge! Da quando, nel 2012, l'allora ministro della Giustizia del governo Monti, Paola Severino, ha messo in cantiere la sua norma più famigerata, lo scenario politico italiano è completamente cambiato. E un contributo determinante in questa direzione l'ha fornito proprio l'ormai celebre Legge Severino, che prevede la sospensione, decadenza e incandidabilità dei membri del parlamento italiano, del governo e degli enti locali condannati per un certo tipo di reato. Che legge quella legge! Il percorso della norma Severino appare, per un po', del tutto lineare, poi l'incantesimo si rompe. E non per caso. Puntuale come il canto del gallo, nell'agosto del 2013 Silvio Berlusconi viene condannato a quattro anni per frode fiscale. Tre mesi dopo il Senato vota la sua decadenza: il Cav è fuori dal parlamento e incandidabile. Fino a quel momento tutti zitti e mosca, della messa in discussione di quella norma non c'è traccia. Tutto fila liscio mentre la «tagliola» della Severino miete vittime fra consiglieri regionali e sindaci, fino al siluramento del governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti, il quale, condannato in primo grado per abuso d'ufficio, si dimette prima che venga sancita la sua decadenza e senza appellarsi ai tribunali amministrativi. Fatto fuori il leader di Forza Italia, cioè la preda grossa, iniziano i mugugni sulla eccessiva rigidità della norma, i distinguo sulla sua logica giuridica, i ricorsi sulla sua costituzionalità. Una coincidenza? Nient'affatto. Le cose, infatti, cambiano radicalmente nel settembre 2014 e nel gennaio 2015, quando due politici di sinistra incappano nelle maglie di quelle sanzioni: il primo è il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, condannato per abuso d'ufficio; il secondo il suo omologo di Salerno Vincenzo De Luca, stesso destino giudiziario. Ma sia l'uno che l'altro, invece di decadere dalla carica, come ci si aspetterebbe, si appellano a Tar e Consiglio di Stato, che nel corso dei mesi, con varie pronunce, sospendono la sospensione e rimettono in sella entrambi. De Magistris, infatti, vince ogni ricorso, non solo di fronte ai tribunali amministrativi ma anche a quello ordinario (la Cassazion aveva stabilito che sulle materie elettorali è competente il secondo). Lo stesso dicasi per De Luca, che supera ogni rischio «a rimorchio» delle sentenze salva-Giggino e non viene fermato neanche dalla sospensione firmata, dopo molte polemiche e un muro contro muro, dal governo Renzi (qualcuno ipotizzò che il premier avrebbe varato una norma ad personam per permettere al primo cittadino salernitano, nel frattempo eletto governatore, di formare la giunta). Ma su che basi i giudici danno ragione a De Magistris e quindi, per logica conseguenza giuridica, anche a De Luca? Il Tar, cassando la sospensione per il sindaco di Napoli, chiama in causa la Corte Costituzionale nel merito della Legge Severino. Ad essere messa in discussione è la retroattività della norma, che contrasterebbe con alcuni articoli della nostra Legge fondamentale. De Magistris, infatti, sostiene che nel momento in cui ha deciso di candidarsi, e fino a quando è stato proclamato sindaco (nel giugno del 2011), tra le cause di incandidabilità e di sospensione non figurava la condanna per abuso d'ufficio, come stabilito solo successivamente, nel dicembre del 2012, dalla norma voluta dal ministro di Mario Monti. I dubbi, inoltre, riguardano anche un secondo aspetto. La legge, infatti, prevede «l'immediata sospensione dall'incarico» per gli amministratori pubblici condannati anche solo in primo grado per una serie di reati. Ma per i parlamentari, al contrario, gli effetti della norma si producono solo in caso di condanna passata in giudicato. Due pesi e due misure. Di fronte ai mille ricorsi e alla pronunce «garantiste» dei tribunali amministrativi, non solo a sinistra si apre una riflessione sulla modificabilità della legge, ma anche il presidente dell'Anticorruzione, Raffaele Cantone, prende la parola per collocarsi fra coloro che ritengono necessaria una «revisione» della norma. Tutto ciò, come dimenticarlo, solo dopo la messa in fuori gioco di Silvio Berlusconi. Pochi giorni fa, di fronte alla Consulta, l'avvocatura dello Stato, su mandato del governo, si è schierata a difesa dell'intero impianto della Severino chiedendo di giudicare inammissibile o infondato il ricorso sulla base del fatto che il tema della irretroattività non si pone in quanto sospensione e decadenza non avrebbero «natura sanzionatoria» ma cautelare, e dunque non conta che vengano decise per reati commessi prima che la Severino entrasse in vigore. Com'è, come non è, una sola cosa appare certa: mentre Berlusconi, a causa di una legge fino a ieri ritenuta di dubbia costituzionalità, è decaduto da senatore e divenuto ineleggibile per sei anni, De Magistris è rimasto sindaco e De Luca si è potuto persino candidare alla presidenza della Campania. La sentenza pronunciata ieri dalla Consulta mischia ancora le carte e potrebbe rendere quella legge, finalmente, davvero uguale per tutti.

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