Baby squillo, coca e sesso in barca
L'indagine sulle «lolite» approda a Ponza e Milano. Festini e droga anche in un hotel sull'Aurelia
Viaggi a Ponza e Milano. Spinelli e cocaina. Taxi per andare con i clienti pagati dal «pappone». Ex prostitute che poi hanno smesso una volta fatto il «salto» diventando «compagne» degli sfruttatori. Minacce di morte da parte delle ragazzine minorenni che hanno avuto rapporti sessuali con professionisti nei confronti dei genitori. Nelle informative che sono in mano alla procura che sta indagando sullo sfruttamento della prostituzione minorile nella Roma bene della Capitale, ci sono testimonianze e intercettazioni da far rabbrividire non solo i genitori, ma anche gli stessi inquirenti che hanno sollevato il coperchio su un giro di squillo sotto i 16 anni e di clienti vip (avvocati, commercialisti, ingegneri, dirigenti di grandi aziende) disposti a pagare migliaia e migliaia di euro a rapporto sessuale con ragazzine che frequentano il ginnasio. Uguale, tra i 14 e i 15 anni. E pur di avere rapporti sessuali con loro, erano disposti a tutto, tanto da arrivare a pagare alberghi sull'Aurelia, viaggi a Ponza, in Lombardia e procurare la droga per le minorenni e per i clienti. «Io e Angela (nome di fantasia) non spacciavamo, abbiamo offerto cocaina a Ponza a due amici che ce l'hanno chiesta. La cocaina l'abbiamo offerta gratis», si legge nell'interrogatorio di una delle minorenni che aveva rapporti sessuali a pagamento nell'appartamento ai Parioli. Non solo. «Ricordo che Andrea (nome di fantasia) ha avuto un rapporto sessuale con Angela e come compenso ha dato 100 euro». Poi ci sono incontri tra pusher e minorenni in alcuni alberghi della Capitale, non solo in viale Parioli secondo quanto emerge dalle carte in mano agli inquirenti romani, racconta una delle minorenni. Che aggiunge. «Confermo che nel corso di una telefonata con "Bambus" abbiamo parlato sia del compenso della prestazione sessuale di denaro sia dei grammi di cocaina». Ma spuntano anche barche di lusso che avrebbero frequentato le minori, sempre a Ponza, dove sarebbero state scattate anche foto a luci rosse da mandare ai clienti e agli arrestati. «Io ho fatto foto tra cui una con una canna in mano, un'altra con il costume rosso e un'altra senza reggiseno e poi le ho mandate a "Mimmì". Ho anche inviato foto a seno nudo a delle persone che cercavano un contatto per la prestazione sessuale, io le foto le ho inviate a mezzo telefonino». Insomma, il giro di prostituzione minorile si è allargato dalla Capitale all'isola di Ponza, dove le ragazzine avrebbero tenuto contatti con i clienti facoltosi per «invogliarli» attraverso foto in topless, e a Milano, dove un cliente facoltoso faceva arrivare le «lolite». Ma non finisce qui. Nelle numerose carte che sono all'esame della procura di Roma, ci sono anche le dichiarazioni di una delle mamme delle due minorenni. In un verbale del 9 agosto scorso, il genitore racconta che la figlia aveva effettuato diversi furti in casa che avevano anche «causato un ingente danno patrimoniale». «Nel mese di aprile la minore ha minacciato pensantemente la mamma: "Ti mando i miei amici cocainomani a sgozzarti...ti brucio tutti i vestiti...ti ammazzo con le mie mani...ti accoltello». Ma le indagini sono ancora all'inizio. Secondo quanto accertato dagli inquirenti, uno degli arrestati, che gestiva il giro di baby squillo, avrebbe organizzato incontri a luci rosse anche per donne adulte. Si tratterebbe di due signore di 40 anni, entrambe sposate e tutte e due con due figli. E gli incontri sessuali sarebbero avvenuti sempre nell'appartamento in viale Parioli. Per capire se le donne incontravano i clienti anche in altri luoghi oltre il quartiere vip della Roma bene, la procura sta esaminando i tabulati dei Telepass degli indagati e di diversi clienti per avere riscontri sui loro spostamenti. Leggendo le carte in mano agli inquirenti, spuntano messaggi inviati con il cellulare tra gli indagati, le minorenni e persone ancora in fase di identificazione: «Hai bidonato me e la mia amica che tra l'altro si era fatta le foto soltanto x per te e ha solo 17 anni...ti saluto e x il futuro non fare più prese in giro». Non c'è comunque solo il giro di escort – tra baby prostitute e squillo «d'esperienza» – tirato su dagli indagati coinvolti nello scandalo che ha investito la cosiddetta Roma bene ad attirare l'interesse della procura capitolina. A piazzale Clodio infatti starebbero indirizzando le indagini anche verso il fiume di cocaina che, come da consolidata tradizione, farebbe da contorno allo scenario di per sé già terrificante entro cui è maturata l'intera vicenda: è caccia a tre pusher. Nella città prima in Italia per consumo di polvere bianca infatti, capita che la coca diventi moneta sonante, da procurare, vendere o scambiare in cambio di «attenzioni» particolari; sarebbe proprio attorno a questa scia di droga che potrebbe aprirsi un nuovo filone dell'indagine. Un filone che potrebbe far luce su chi si occupava di trovare i contatti giusti, su chi si prendeva cura di portare la coca direttamente agli incontri clandestini e su chi poi, materialmente, saldava i conti. E d'altronde nelle carte dell'inchiesta sulle baby squillo, sono tanti i riferimenti all'uso e al baratto della coca. A partire dalla denuncia presentata agli uomini dell'Arma dalla madre di una delle due ragazzine finite sotto la regia di «papponi» senza troppi scrupoli. È la donna infatti che riporta le minacce subite dalla figlia, ricordando frasi come «ti mando i miei amici cocainomani a sgozzarti». Ed è sempre la madre che consegna agli investigatori la fialetta con ripieno di coca scovata durante una perquisizione che lei stessa aveva fatto tra gli effetti personali della piccola. Così come è una delle due ragazzine che, rispondendo agli inquirenti, dimostra di conoscere come vanno le cose su quel versante raccontando di avere utilizzato lo spaccio come paradossale spiegazione per la quantità di denaro a loro disposizione: «Penso che le nostre madri abbiano capito che ci prostituivamo perché non potevamo avere tutti quei soldi spacciando perché chi spaccia ha sempre sopra di se qualcuno». Ed è sempre una delle ragazzine che spiega come avesse ceduto la roba anche all'altra minore «perché mi assillava perché la voleva». E ancora il cliente, così come il «pappone», che la rifornivano per il suo uso personale «che la prendeva a Monteverde da suo cugino». E d'altronde la coca entra anche nei pagamenti stessi per le prestazioni fornite dalle due adolescenti finite in un baratro troppo più grande di loro: «Ho concordato con lui il compenso – racconta la giovane ai magistrati – per la prestazione sessuale. Io ho concordato 100 euro più quattro grammi di cocaina». Uno scenario che pare ritagliato da un film già visto ma che potrebbe rappresentare la sponda giusta per fare luce su una vicenda che ha colpito come un treno una città sempre più distratta.
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