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dall'inviato Filippo Caleri SIENA «Babbo Monte» non c'è più.

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Oratra gli scandali e il capitale che scarseggia hanno capito che quel modo di intendere Rocca Salimbeni non esiste più. Ma la banca e la sua integrazione con Siena non si tocca. E l'assemblea degli azionisti di Mps, con ben 36 iscritti a parlare con tempo assegnato di 10 minuti ciascuno, diventa lo specchio delle tensioni e dei timori che attraversano la comunità. Gelosa del suo tesoro, ma tradita da scelte gestionali suggerite dai grandi disegni politici, e che ora sente il fiato degli stranieri, fondi sovrani o privati, bramosi di accaparrarsi un pezzo della loro identità a prezzi di saldo. Ed ecco emergere la vena di patriottismo del campanile quando uno dei soci più umorali della giornata tuona contro l'ex sindaco del Pd, Ceccuzzi, che si è augurato che il presidente della Fondazione non sia mai più un senese. L'imprecazione è rivolta al cielo. Ed è omessa per rispetto. Ma nella sala sale l'applauso quando all'indirizzo del primo cittadino il socio lancia il suo strale: «Che sia strafulminato». Lo stesso viene interrotto da chi evidentemente prende le parti del capo del municipio. Ed è in quel momento che si prende coscienza di come il Monte per un senese sia più che un istituto di credito. È quasi ragione di vita perché la sua storia gestionale si mescola con le fazioni, la politica, le parti e le controparti che amministrano la città toscana. Accuse e controaccuse. È Profumo a sedare quello che si è trasformato in dibattito da bar. «Non è questa la sede per parlare di questi argomenti. Siamo qui per l'aumento di capitale» sibila il presidente con l'accento meneghino e l'intonazione da preside. Risposta dell'azionista discolo: «È colpa loro. Non mi lasciano finire. E ora mi faccia recuperare il tempo che ho perso». Sintomatico. I minuti a disposizione sono dieci eppure sembrano pochi per dire tutto quello che si ha in mente. E infatti c'è chi sfora. E alla richiesta di contenersi risponde: «No.. no ora parlo anche se vado fuori tempo». Niente di personale solo il rapporto viscerale del territorio verso la sua banca vero punto di forza di Mps. Ora lo chiamano capitale intangibile. Ma per uno come Barni è quasi il suo stesso sangue. «Non ho studiato quanto avrei voluto. E se sono qui lo devo al Monte che prima era gestito da uomini d'onore». Non nel senso del Sud precisa. «Ma nel senso che non erano come i predoni che l'hanno impoverita». Poi l'appello alla senesità quasi a chiedere un atto di coraggio ai concittadini per riprendersi quanto loro spetta: «Non cercate soci arabi o cinesi. Ma cercate noi senesi». Già, la paura è quella. Un socio estero che metta le mani su quello che è rimasto in cassaforte. Dopo l'avidità e la scarsa lungimiranza della politica che ha abbondanato il suo territorio di riferimento e si è fatta guidare da Roma, il timore è ora che la diga della Fondazione ceda e l'emiro si sieda sul trono di Rocca Salimbeni. Qualcuno tra loro punta sull'ironia per mascherare il disappunto di dover aprire la porta allo straniero per vendergli l'argenteria: «Se arriva l'emiro si può fare un palio all'araba in suo onore. Siamo pronti». Ma è solo una battuta. Il vero nemico è ancora la politica: «Cerchiamo di fare banca senza di lei. Più la mettiamo in minoranza meglio è». È la riprova dello scollamento di un sistema virtuoso nel quale la continuità amministrativa assicurata dalle giunte di sinistra di Siena ha assicurato la continuità dello sviluppo economico e sociale. Stabilità e politica di lungo termine unito al radicamento sul territorio. Una ricetta vincente. Eppure qualcuno ha pensato di gettarla nel cestino. Bisognava crescere ed espandersi al Sud, al Nord, a livello nazionale. Un tradimento ideale che qualcuno aveva intuito nel 2009, anno incriminato. Spiega Failli: «In quell'anno ho denunciato i comportamenti di Vigni e Mussari. Mi risposero che dalla città (dal territorio ndr) non veniva buono nemmeno il vento». È lì che nasce la spaccatura. I senesi subdorano che la loro banca si sta allontanando dal modello che l'ha resa forte per 500 anni. Di questo parla anche qualcuno fuori dall'assemblea. Un esercente di viale Mazzini, dove si tiene l'assemblea, lo dice a mezza bocca: «Siena poteva diventare come San Marino grazie ai soldi che aveva il Mps. L'hanno lasciato morire. Ma non chiuderà mai. Questo è sicuro». Molti avevano intuito che qualcosa non andava. «Siamo commercianti ma se si compra per 10 miliardi quello che tre mesi prima qualcuno aveva pagato 6 qualche dubbio sorge». Va a finire che tutti sapevano e che per quieto vivere nessuno ha mai provato a scoperchiare il vaso. Forse la bomba dei derivati è stata un sollievo per molti. Ora la banca è sicuramente più sana di qualche giorno fa. La spazzatura è uscita allo scoperto e si può solo ricostruire. Le idee però sono diverse. Giusti che è piccolo azionista ma anche il rappresentante della Lega in città punta sul campanile: «Non votiamo l'aumento di capitale per non diluire la quota della Fondazione e far depauperare ulteriormente il patrimonio». C'è chi come Boldrini punta sull'azzeramento dei vertici, sulla nazionalizzazione, su un successivo risanamento e una nuova privatizzazione. Qualcuno come Rizzo è più concreto: «C'è stata una guerra ora dobbiamo stringerci attorno ai nostri 6 milioni di clienti e tornare a fare la banca». Ma c'è bisogno soprattutto di utili e di credere che si possa ripartire. Ritrovare entusiamo e ottimismo. Ci prova il socio Maccari rivolgendosi a Profumo: «Se fate utili nel 2015 le offro una cenaa. Risposta del presidente: «Può cominciare a prenotare il ristorante».

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