
La rimonta elettorale è difficile, ai limiti dell'impossibile.

Ese finora il famigerato «spirito del '94» è rimasto un'entità astratta della quale nessuno riesce a dare una definizione precisa, lo «schema del '94» è invece ben chiaro nella mente del Cavaliere: il suo partito alleato a nord con la Lega e al sud con un'altra forza dalle profonde radici meridionali. Diciannove anni fa si trattò di Alleanza Nazionale, stavolta toccherà a Gianfranco Micciché e al suo Grande Sud. Sì, proprio quel Micciché che fu stratega dell'ormai mitologico 61-0 in Sicilia nei confronti della sinistra alle Politiche del 2001. Lo stesso «reuccio» che, divorziando da Musumeci nelle ultime elezioni Regionali e appoggiando la lista di Lombardo, di fatto aveva consegnato la poltrona di governatore al candidato del Pd Rosario Crocetta. Ora il figliol prodigo è tornato a casa, benché solo qualche mese fa sostenesse di non pentirsi «dell'alleanza con Lombardo, che pure ha fatto degli errori, mi pento solo di essere stato con Berlusconi». Lo scenario è cambiato, grazie al potere di persuasione del Cav che ha definito i contorni dell'accordo in una riunione a Palazzo Grazioli mercoledì sera. Intesa poi meglio particolareggiata ieri a via dell'Umiltà alla presenza del segretario Alfano e pronta a essere ufficializzata definitivamente questa mattina, in un ennesimo confronto tra tutti i big. Grande Sud darà vita a una lista meridionalista a sostegno della candidatura di Berlusconi nella quale dovrebbero confluire anche i movimenti territoriali vicini ai presidenti di Regione di centrodestra del Sud, come Giuseppe Scopelliti in Calabria e Stefano Caldoro in Campania, oltre all'ex ministro pugliese Raffaele Fitto. I governatori non si candideranno in prima persona, ma faranno campagna elettorale a tappeto sul territorio. Con questa mossa il Cavaliere conta di aggiudicarsi la partita elettorale in Sicilia e magari anche in Campania. Ma per completare il suo piano, che è quello di impedire al centrosinistra di avere la maggioranza anche al Senato oltre che alla Camera, c'è bisogno di sconfiggere la coalizione Pd-Sel anche in Lombardia e Veneto. Ed è qui che le cose si complicano, perché benchè in serata Berlusconi abbia affermato al Tg1 che «l'accordo con la Lega è vicino», in realtà l'intesa continua a essere in forse, tra accelerazioni e frenate improvvise. Nella serata di martedì c'era stata una schiarita, con il senatore del Carroccio Roberto Calderoli che aveva spiegato che «il 75% delle caselle sono andate a posto». Una cifra non casuale quella citata dall'ex ministro della Semplificazione, visto che i leghisti, prima ancora che discutere di chi sarà il candidato premier, vogliono portare il Pdl su alcuni punti cardine del loro programma, come la possibilità di trattenere al nord il 75% delle tasse pagate nelle varie regioni settentrionali. Ma che il nodo candidato sia ancora in piedi lo dimostrano anche le parole di Berlusconi, che continua a dirsi disposto a un passo indietro, «posso anche limitarmi a fare il ministro, magari dell'Economia o degli Esteri», pur di trovare l'accordo con Maroni. I leghisti, dal canto loro, non hanno dimenticato i sondaggi diffusi l'altroieri dall'istituto di D'Alimonte, che fotografano una fuga di consensi in caso di nuova alleanza con Berlusconi. Ed è per questo che continuano a nicchiare. «Vedo molto complicata un'alleanza a livello nazionale da "patti chiari e amicizia lunga"», spiegava ieri Matteo Salvini, segretario della Lega Lombarda, aggiungendo che però «a livello regionale invece, un'alleanza solida ci può stare». Difficile che Berlusconi accetti un simile accordo a metà, anche se alla minaccia del Cav di far cadere tutte le Giunte del nord in caso di mancata intesa nessuno crede seriamente. Di tempo per sciogliere i nodi ne resta molto poco, visto che entro il 21 gennaio i partiti dovranno presentare liste e apparentamenti. Nel frattempo, Berlusconi continua a lavorare sulle candidature, anche se ieri ha confessato che non farà nessun annuncio di nomi in anticipo, ma che comunicherà le liste in un'unica occasione: «Mi è stato vietato di fare nomi e credo sia giusto - ha detto a Radio Radio - perché vorremmo presentare la squadra di vertice tutta in una volta, con una cerimonia che possa diventare anche importante dal punto di vista mediatico». Nel partito a temere la mancata riconferma sono in tanti. Faide e gelosie interne sono all'ordine del giorno, e non è un caso che siano stati diversi i parlamentari di lunga fedeltà che hanno storto il naso di fronte al ritorno in auge del «traditore» Miccichè. Car. Sol.
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