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Il centrodestra decida cosa fare da grande

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di Francesco Damato
Come un fiume carsico, la voglia di anticipare, sia pure di alcune settimane soltanto, le elezioni politiche che il capo dello Stato vorrebbe si svolgessero alla scadenza ordinaria, il 7 aprile prossimo, emerge ogni tanto.Ora a destra, ora a sinistra.Nelle ultime 48 ore è emersa prima a destra, con le proteste del Pdl, una volta tanto unito, almeno sino al momento in cui scrivo, contro la decisione annunciata dal governo di fissare per il 10 febbraio le elezioni regionali anticipate in Lombardia, nel Lazio e nel Molise. I cui Consigli sono stati travolti da scandali e irregolarità insanabili. Accorpiamole alle elezioni politiche, ha gridato Angelino Alfano accampando ragioni di risparmio, da lui valutato in 100 milioni di euro, dal dissidente ministro dell'Interno in 50, dal consenziente presidente della Camera in «qualche decina». E già questo la dice lunga sulla opinabilità della questione. Cioè su questa pantomima che è scoppiata mentre continuano a bussare alle porte del Paese, e dell'Europa, ben altri e più gravi problemi di ordine economico, sociale e pubblico, in un intreccio di fuoco che purtroppo non è solo metaforico, come si è appena visto nelle piazze. Per alcune ore il segretario del Pdl - peraltro incurante del fatto che le elezioni politiche anticipate, più naturali e igieniche di un ulteriore posticipo di quelle regionali già in ritardo rispetto alla decomposizione delle rispettive assemblee, vanificherebbero le primarie da lui programmate - ha forse avuto l'impressione di poter riesumare attorno alla sua posizione il vecchio centrodestra contro la sinistra. Ma il quadro è rapidamente svanito perché da quella parte, cioè a sinistra, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha avuto facile gioco a smarcarsi da accuse e sospetti trincerandosi dietro l'ultima parola che in tema di scioglimento anticipato delle Camere spetta al presidente della Repubblica. Il quale, peraltro, proprio ieri è tornato a rivendicare le sue prerogative, non certamente riconducibili ai «tagli di nastri» e cerimonie analoghe. Ma, soprattutto, il principale alleato elettorale di Bersani, cioè Nichi Vendola, ha raccolto e rilanciato la sfida di Alfano e del Pdl, vera o presunta che sia, reclamando pure lui le elezioni anticipate. Dalle quali in effetti il cosiddetto centrosinistra da poco trasmesso in edizione Sky avrebbe molto, anzi moltissimo da guadagnare per le maggiori probabilità, in caso di accorciamento dei tempi della legislatura, di andare alle urne con le regole attuali. Cioè con un premio di maggioranza senza soglia, per cui con poco più ma anche meno del 30 per cento dei voti, quanto è oggi valutato nei sondaggi il loro patrimonio elettorale, Bersani e compagni potrebbero portare a casa quasi il 55 per cento dei seggi della Camera. Che, per quanto potessero andare male le cose al Senato, dove il premio di maggioranza si calcola e si assegna a livello non nazionale e fisso ma regionale, e variabile, assegnerebbe comunque alla sinistra una posizione preminente nelle eventuali trattative con altri. L'unica alternativa ad un accordo con i vincitori della partita della Camera sarebbe quella di un altro ricorso ancora alle urne, comprensibilmente sognato da Beppe Grillo come l'occasione del suo sfondamento finale. Tolta la schiuma della presunta contrarietà della sinistra alle elezioni anticipate in febbraio, rimane nelle mani del Pdl e del suo segretario solo il pennello della paura delle elezioni separate per l'effetto traino che una sconfitta nelle regionali provocherebbe dopo 55 giorni, o meno ancora, su quelle politiche. Una paura giustificata, che dovrebbe però indurre i dirigenti del Pdl non a perseguire il posticipo ulteriore delle elezioni regionali o l'anticipo di quelle politiche, bensì a decidere finalmente che cosa fare del loro partito, con chi allearsi e, di conseguenza, chi candidare o quali candidati sostenere. Tutti problemi, questi, attorno ai quali nel Pdl continuano invece a vagare nel buio. Un buio pesto, dal quale purtroppo non c'è calendario, elettorale o liturgico, che possa tirarli fuori e salvarli.

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