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In Campidoglio è andata in scena l'umiliazione della democrazia.

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Ne sono responsabili i consiglieri, che per due volte, in due giorni diversi, si sono abbandonati a risse e comportamenti indegni non solo di un'assemblea elettiva, ma di qualsiasi consesso civile. Ieri s'è superato il limite, con un gruppo di facinorosi che ha invaso l'Aula, è salita sui banchi, ha insultato gli eletti dal popolo, secondo un costume squadrista che reclama l'intervento della procura della Repubblica e la condanna penale dei responsabili. Attenti a non credere che cose di questo tipo possano essere tollerate, perché nel momento in cui s'infrange il rispetto delle regole democratiche il valore compromesso non è negoziabile. Uno Stato che chiude un occhio è destinato a chiuderli entrambe, per morte. Quanto appena scritto vale in ogni caso, quale che sia l'opinione di ciascuno sul tema in discussione. La democrazia prevede non solo il totale rispetto delle diverse posizioni, con particolare riferimento a quelle espresse e rappresentante dalle minoranze elettive (nel caso romano, quindi, quelle della sinistra e delle altre opposizioni), ma anche strumenti regolamentari che ne disciplinano l'esercizio. Fra questi è previsto anche l'ostruzionismo, la presentazione di numerosi ordini del giorno e quant'altro, purché non si trasformino in un modo per bloccare la democrazia stessa, impedendo alla maggioranza non solo di esercitare i propri diritti, ma di rispondere dei propri doveri. Contratti davanti agli elettori e che davanti a quelli dovrà risponderne. Non è prevista la rissa, non è consentito che si assaltino i tavoli del personale amministrativo, mettendolo in fuga e gettando in aria le carte, non è consentito trasformare l'Aula in uno stadio, facendovi passeggiate con gli striscioni, non è consentito impedire ad altri di votare, non è consentito alzare le mani. Non appena una sola di queste cose è possibile diventa impossibile il rispetto della democrazia. Un prezzo non pagabile. Ebbene: ci sono i filmati, si vedono i fatti e si riconoscono i volti. Non spetta a noi erigerci a tribunale, ma spetta alla magistratura portarci i responsabili. Il merito della discussione era relativo alla vendita del 21% delle azioni Acea, tema sul quale eravamo intervenuti lo scorso 4 maggio, riconfermando oggi le idee allora espresse: c'è stato un referendum (a mio avviso improvvido, ma democratico e regolare) che esclude la privatizzazione della gestione dell'acqua, e va rispettato; vendendo un ulteriore quota di Acea il comune di Roma resta l'azionista di maggioranza relativa; non vendendola va incontro a sanzioni e cause, il cui prezzo sarà pagato dai cittadini romani; la sinistra che schiamazza contro la vendita è in contraddizione con quanto sostenne e fece la sinistra al governo, comprese le azioni dell'allora ministro dell'industria, tal Pier Luigi Bersani; la destra che sa solo dire «vendiamo», senza essere capace di spiegare il perché e inserire quella scelta in un più complessivo ragionamento su Acea e municipalità, è al di sotto delle necessarie responsabilità. I movimenti che manifestano contro ogni forma di privatizzazione vengono da quegli stessi ambiti culturali e politici che gridano contro l'inadeguatezza, quando non la sporcizia della politica. Non è dato sapere come mai possa conciliarsi il fatto che la politica non dovrebbe occupare e spartirsi il mercato, ma i cda di aziende importanti devono essere nominati dalla politica. Una contraddizione insanabile. Per giunta fatta valere su un mostruoso animale misto, le municipalizzate quotate in Borsa, che non si capisce più se debbano rispondere al mercato, agli azionisti, ai clienti o al sindaco. Se quanto occorso ieri non può che essere competenza della magistratura, la contraddizione in cui si trova la gestione di una così importante azienda quotata è di competenza del governo e del legislatore. Ce n'è più che in abbondanza per interrogarsi circa la regolarità del mercato italiano, sia in relazione ai servizi, che all'organizzazione aziendale, che alla trasparenza azionaria. Se le decisioni prese, se le scelte su cui l'azionista di maggioranza ha impegnato la propria responsabilità, anche patrimoniale, dipendono poi da assemblee politiche, che per loro natura possono cambiare orientamento, si pone la questione della presenza di tali soggetti nel mercato. In quanto ai cittadini, si domandino: in queste condizioni, chi mai investirà in aziende così instabili ed eterodirette? Dal che deriva che gli investimenti necessari per le reti idriche ed elettriche dovranno essere finanziati dalle bollette, o con quelle si finanzierà l'onere dei debiti a tal fine contratti. L'alternativa, se non si vogliono aumentare le bollette, consiste nell'avere reti inadeguate, quindi disservizi. Che tutto questo sia «sociale», che lo sia avere solo nomine lottizzate, è difficile da credersi.

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