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Torna il finanziamento i partiti esultano

Parlamento

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Il finanziamento pubblico ai partiti sta per tornare realtà. A 19 anni dal referendum che, con una maggioranza bulgare, aveva detto «no» a una politica tenuta in vita coi soldi dello Stato, la Camera dei Deputati ha detto il primo «sì» al disegno di legge che già da quest'anno concederà ai movimenti 91 milioni di euro. Un taglio rispetto ai 182 che i partiti avrebbero intascato sotto forma di rimborso, sostengono i firmatari della legge, Bressa (Pd) e Calderisi (Pdl). Un tragico ritorno al passato, spiegano gli oppositori. Come che sia, il provvedimento ha avuto una prima approvazione. Timida, a dire il vero: appena 291 sì, la quota più bassa dall'inizio del governo Monti, ben sotto la maggioranza assoluta che a Montecitorio è di 316 deputati. I contrari sono stati 78, 17 gli astenuti. Gli altri, oltre 200, non c'erano. Tra questi erano assenti 96 del Pdl e 32 del Pd. Come se non ci fosse il coraggio di mettere la faccia sotto una legge che è stata comunque ispirata dal trio ABC. Ora la palla passa al Senato, che avvierà subito il lavoro in commissione. I soldi pubblici tornano nelle casse dei partiti, dunque. Sotto forma di rimborso elettorale (circa i due terzi) e di vero e proprio finanziamento. In realtà, a voler essere precisi, si tratta di «co-finanziamento», in quanto i partiti ne avranno diritto, per un massimo di 10 milioni di euro, solo se saranno in grado di produrre una somma doppia di fondi privati. Tradotto: se un privato mi dà 6 milioni, lo Stato me ne darà 3. Il meccanismo sarà in vigore già quest'anno e permetterà di risparmiare il 50% dei fondi che i partiti avrebbero intascato con i vecchi rimborsi: 91 milioni nel 2012, 69 nel 2013. Circa 160 milioni che, grazie a un emendamento della Lega, saranno destinati alle popolazioni colpite da calamità naturali. Per verificare che i fondi ai partiti siano usati solo per l'attività politica, e per evitare che in futuro possano ripetersi i casi Lusi e Belsito, verrà istituita una commissione formata da cinque giudici: tre della Corte dei Conti, uno del Consiglio di Stato e uno della Cassazione. Proprio su questo punto si è scatenato il primo scontro: il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, ha scritto una lettera alla Camera per denunciare come la Costituzione avochi alla magistratura contabile e a nessun altro simili controlli. Sempre riguardo la trasparenza, sui bilanci dei partiti ci sarà la «vigilanza» di società di revisione iscritte alla Consob, mentre per tutti i tesorieri, compresi i non eletti, sarà obbligatorio pubblicare i redditi, anche di moglie e figli a carico. Se la commissione incaricata riscontrasse irregolarità, scatteranno le sanzioni. La «pena» massima è la restituzione dell'intero rimborso elettorale. Tra le pratiche vietate non ci sarà, però, la possibilità di investire in titoli di Stato della Ue. «Non possiamo imporre ai partiti di spendere i soldi in un determinato modo», ha spiegato Calderisi, «né il periodo in cui devono utilizzarli. E non potevamo imporre di investire solo in titoli italiani, a livello comunitario non sarebbe passata». È questo uno dei passaggi del ddl maggiormente criticati. Ma non il solo. Tra gli oppositori più duri il leader dell'Idv Antonio Di Pietro. L'Italia dei Valori, peraltro, aveva presentato un emendamento per bloccare i finanziamenti alle forze politiche che avessero candidato un condannato, anche se solo in primo grado. Modifica bocciata. «Abbiamo votato no perché questo provvedimento è una beffa - ha tuonato l'ex pm - un danno ai cittadini, un raggiro. Si fa credere che sia stata ridotta del 50% la spesa pubblica, ma è stata aumentata fino al 26% la riduzione delle tasse che devono pagare le imprese e i privati che danno soldi ai partiti. Lo Stato in realtà non risparmia niente». Posizione isolata? Non proprio: a tuonare contro la riforma sono esponenti di quegli stessi partiti che l'hanno promossa: «Si è tornati al finanziamento sfacciato - ha accusato Vassallo del Pd - per questo non potevo votare, e non ho votato, questa legge». L'entusiasmo di Bersani («dimezzamento avevamo promesso e dimezzamento è stato, il Pd ha ancora una volta tirato il carro»)non sembra essere condiviso da tutto il partito.

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