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La Grecia potrebbe davvero essere arrivata al capolinea della sua esperienza nell'Eurozona.

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Ilgiorno stesso dell'accensione della torcia olimipica, Atene fa i conti con il suo destino. E l'addio all'Euro è più di un'ipotesi. Il presidente della Commissione, José Manuel Barroso ieri ha dato l'ultimatum. «Se la Grecia non rispetta le regole è meglio che esca dall'Euro». E ha spiegato che la situazione è simile a quando «un membro di un club non rispetta le regole: se ne deve andare». Perché il «rispetto per la democrazia e il parlamento greci deve essere lo stesso per gli altri 16 parlamenti nazionali che hanno approvato il programma per la Grecia». A far traboccare il vaso è stata una lettera inviata da Alexis Tsipras, leader della radicale Coalizione delle Sinistre (Syriza) al presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, e al presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz e da questi girata a Barroso e al presidente della Bce Mario Draghi. Il politico greco sosteneva che «il voto del popolo greco delegittima politicamente il Memorandum, che ha fallito negli scopi che si era proposto, così come è necessaria una riconsiderazione della strategia europea». Il pugno duro di Barroso arriva al termine di una giornata nella quale anche la Germania è tornata a intimare alla Grecia di «attenersi alle misure di austerità se vuole rimanere nell'Eurozona». Il ministro delle Finanze Schauble è stato chiaro: «Apportare variazioni mentre il Paese è nell'Euro, è una richiesta troppo difficile». In mattinata Bruxelles aveva già avvertito Atene che la politica di austerità non si tocca, pena la sospensione degli aiuti senza i quali la Grecia andrebbe in default. E dagli Usa Barack Obama ha chiosato: «L'Europa è in difficoltà perché non ha adottato alcune misure prese dagli Stati Uniti». Intanto secondo un sondaggio, in caso di nuove elezioni in Grecia, cresce il favore delle formazioni contrarie alle misure di austerity sottoscritte con la troika Bce, Ue e Fmi. Il primo partito sarebbe la Sinistra Radicale (Syriza), che raccoglierebbe il 23,8% e a seguire i conservatori di Nea Dimokratia, prima formazione alle elezioni. Ma un sondaggio dice anche che il 633% dei greci vuole un governo di coalizione e solo il 32% è per tornare al voto. Continuano ad arrivare i dati del disastro economico. Il tasso di disoccupazione ha toccato il record del 21,7%; tra i giovani di età fra i 15 e i 24 anni è al 53%. Da Bruxelles viene fatto sapere che i Paesi dell'Eurozona sono pronti a continuare a finanziare la Grecia fino all'arrivo di un nuovo governo, che esca dall'esito del voto di domenica scorsa o che sia frutto di nuove elezioni il mese prossimo. Saranno forniti fondi a sufficienza «per restare a galla» e impedire nuovo caos, «ma non più del minimo, per scoraggiare i partiti che dicono possiamo fare quello che vogliamo e continueranno a salvarci perché è nell'interesse della Ue». Ieri il Fondo di Salvataggio europeo (Efsf) ha erogato 4,2 miliardi ad Atene che «garantiscono il fabbisogno finanziario attuale». La politica del pugno di ferro non è circoscritta alla Grecia. In allarme per gli appelli ad allentare la morsa che vengono da altri Paesi dell'Eurozona, Angela Merkel ha ribadito che «la crescita non può avvenire abbassando la guardia sul rigore di bilancio». No quindi a un'Europa più morbida sui deficit. La strada indicata, per coniugare sviluppo e risanamento, è quella delle riforme strutturali, a partire da liberalizzazioni e mercato del lavoro. E spetta ai governi muoversi, prima che alla Banca europea degli investimenti. Poi no agli Eurobond perché «non sono sostenibili». La Bce ha chiesto che risanamento e crescita procedano in parallelo, perchè se è vero che il risanamento grava sulla crescita a breve, nondimeno favorisce «gli investimenti privati e la crescita a medio termine».

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