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Sarkò spera nella paura degli indecisi

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Urne aperte per il primo turno. Il favorito Hollande corteggia il ceto medio Strada in salita per il presidente uscente in vista del ballottaggio del 6 maggio

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NicolasSarkozy tenta la carta della paura del nuovo per presentarsi come difensore del Paese, al fine di rimontare lo svantaggio. Francois Hollande, al contrario, affida il suo destino alla voglia di cambiamento che ha sembra aver contagiato i francesi da quando hanno realizzato che le politiche di austerità imposte dal presidente, in accordo con la Merkel, rischiano di impoverirli. Dall'Eliseo si susseguono appelli alla ragione; dal quartier generale socialista s'intensificano messaggi rassicuranti. Lo sfidante, viene ripetuto, adotterà misure eque, aumenterà le tasse ai ricchi, fino al 75% per i redditi sopra il milione, punterà sulla crescita, assumerà sessantamila impiegati nella scuola, rafforzerà lo Stato sociale anche se non spiega con quali risorse. Sarkozy avrebbe facile gioco nello smontare il populismo dell'avversario se avesse le carte in regola per farlo, ma è costretto a giocare di rimessa poiché la sua immagine è sensibilmente compromessa. Hollande punta tutto, poco patriotticamente, sul declassamento della Francia e rimanda al mittente l'accusa di favorire la depressione economica con le sue ricette «sviluppiste» in assenza di investimenti cospicui. A chi glielo fa notare risponde che intervenendo sulle grandi fortune finanziarie le risorse non mancheranno. Ma Sarkozy, per quanto poco credibile, non è affatto arrendevole di fronte alle argomentazioni socialiste e replica nel solo modo possibile: il classismo di Hollande è datato e irrealistico dal momento che la forza dell'economia francese è costituita dal capitalismo diffuso su cui inevitabilmente si abbatterebbero le misure che la sinistra propone facendo emigrare sostanze consistenti fuori dai confini. Al rigore si può mettere un freno, sostiene Sarkozy, ma alle utopie di Hollande chi porrà riparo quando avranno prodotto i guasti prevedibili? Nelle ultime ore entrambi i candidati, accreditati al 29% Hollande e al 24% Sarkozy, hanno impegnato tutte le loro forze nel convincere gli elettori a non disperdere i voti. Non l'hanno presa bene coloro che hanno intenzione di votare la leader del Front National, Marine Le Pen, vera spina nel fianco del presidente, accreditata del 17% e quelli che guardano a Jean-Luc Mélenchon, vera sorpresa di questa campagna elettorale, partito da un misero 3% come candidato del Front de la gauche, ed oggi dato al 15% con l'ambizione di influenzare Hollande all'Eliseo. A Sarkozy non resta che raschiare il fondo del barile che il suo entourage individua nel 10% cui disporrebbe il candidato centrista Francois Bayrou. Se questa sera dalle urne venisse fuori un divario minore del 5% a favore di Hollande, il suo avversario potrebbe tentare di colmarlo non soltanto offrendo a Bayrou, come si vocifera, la poltrona di primo ministro, ma solleticando quell'elettorato radicale che pur riconoscendosi nella Le Pen è sensibilissimo ai temi legati dell'immigrazione e della sicurezza rispetto ai quali Hollande non è affidabile. Dopo la strage di Tolosa del 19 marzo, il presidente ha rivolto particolare attenzione alle preoccupazioni dei francesi sul pericolo del terrorismo: ha definito la tragedia, con poco senso delle proporzioni, come «un nuovo 11 settembre». Poi, cinicamente, ha promesso la revisione del Trattato di Schengen ed un maggior rigore nell'opporsi a quella che anche la «destra presentabile» definisce l'islamizzazione del Paese. Insomma, l'ideologia della «preferenza nazionale», mutuata dal Front National, appare come l'estrema risorsa di Sarkozy per conquistare quella porzione di elettorato che gli consentirebbe, al secondo turno, di sperare in una rimonta che fino ad oggi è apparsa impossibile. Per quanto esponenti di primo piano del governo, dal premier Francois Fillon al ministro degli Esteri Alain Juppé, diano per persa la battaglia, all'Eliseo si continua a ragionare sui numeri che offrono ancora un filo di speranza a Sarkozy. La sinistra, si osserva, vale non più del 42%. Hollande, dunque, ha bisogno di trovare altrove i consensi per vincere. Dove? È sull'area dell'astensione e dell'indecisione che fino al 6 maggio i due candidati concentreranno i loro sforzi. Sarkozy, convinto che la paura del cambiamento gioca a suo favore, premerà sull'acceleratore della continuità. Hollande, al contrario, pur non entusiasmando il proprio elettorato, punterà a conquistare parte del ceto medio cui non sono andate giù le quarantuno imposte introdotte dal presidente, non ha capito la guerra di Libia, non ha digerito il rapporto privilegiato con la Merkel. Ciò che comunque Sarkozy intende evitare a tutti i costi è un referendum sulla sua persona, consapevole che due terzi degli elettori che voteranno Hollande al ballottaggio lo faranno perché non sopportano più lui. Il vantaggio del socialista è tutto qui. I suoi innumerevoli limiti sono noti al suo stesso partito che, come si sa, gli avrebbe preferito Dominique Strauss-Khan se non fosse inciampato in una cameriera del Sofitel di New York. Allora, al «couille molle», il rammollito, come lo chiama Martine Aubry, che ha già prenotato Palais Matignon, non si sarebbe neppure presentata l'occasione di diventare il settimo presidente della Quinta Repubblica. Ma questa è un'altra storia...

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