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Non sono politici per caso

Il premier Mario Monti

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Politici per caso? Non diciamo sciocchezze. Mario Monti e i suoi ministri lo sono diventati consapevolmente portando in dote al governo una politicità tutta particolare non acquisita nei partiti, ma nelle aule universitarie, nel mondo degli affari, nella gestione amministrativa dello Stato. Non sono né i primi e non saranno gli ultimi di questa specie che il Novecento ne annovera numerosissimi e significativi. Inutile fare nomi, ne dimenticherei moltissimi. Perciò non deve stupire se il professor Monti, frettolosamente liquidato come "tecnico" per escluderlo preventivamente (come se si potesse) dalla vicenda politica, ha dimostrato di avere le qualità che in pochi ritenevano possedesse. Oggi la sua centralità è universalmente accettata; come pure la sua presenza sul proscenio non è più ritenuta effimera e contingente. Ci ha messo del suo, naturalmente, Monti per accreditarsi come politico a tutto tondo. Ha colto al balzo le occasioni che gli sono presentate per impartire lezioni ad alcuni politici di professione che lo guardavano come un alieno o tentavano di strumentalizzarlo ai loro fini accreditandosi come suoi "tutori". Da ultimo il premier ha avuto modo di rispondere per rime a Pier Luigi Bersani facendogli intendere che la sua permanenza a Palazzo Chigi è tutt'altro che abusiva o frutto di una benevolenza partitica che lui non ha davvero richiesto. Alla classe politica, poi, ha fatto intendere, correggendo in parte il tono con una lettera pubblicata ieri sul "Corriere della sera", l'insufficienza dei partiti stessi mettendo così il dito nella piaga della loro inadeguatezza che, se non fossero dominati dall'ipocrisia, accetterebbero come una banale verità ammettendo di non essersi saputi riformare nell'ultimo ventennio, ma soltanto trasformare fino a diventare simulacri di organizzazioni in grado di cogliere consensi attorno a progetti ed idee. Non c'è bisogno di analizzare gli spietati sondaggi di opinione per concludere che la crisi dei partiti è profonda e drammatica. Monti non ha fatto altro che certificarlo dopo che gli stessi soggetti politici lo avevano testimoniato chiamandolo al capezzale della Repubblica poiché incapaci di portare a compimento quel lavoro che l'attuale esecutivo, indipendentemente dal giudizio che se ne può dare, ha iniziato con l'appoggio quasi unanime del Parlamento. Per quanto possa dispiacere, questa è la realtà. E se Bersani sul fronte sinistro ed altri su quello opposto continuano a considerare Monti un "estraneo" soltanto perché non è stato eletto, non hanno capito quel che invece ha realizzato molto bene e fin da subito Silvio Berlusconi che da presunta "vittima" del montismo è diventato il suo più tenace sostenitore. Il Cavaliere, infatti, è consapevole che per come sono ridotte le forze partitiche non ci poteva essere alternativa migliore che quella da lui stesso assecondata ed oggi sposata perfino da chi con onestà ed intelligenza l'aveva osteggiata, come Giuliano Ferrara il cui realismo ancora una volta è un impagabile esempio soprattutto a chi nel centrodestra ama coltivare illusioni piuttosto che confrontarsi con le dinamiche della politica. Monti, dunque, con stupore perfino di chi è riluttante a riconoscerlo, restituisce di fatto alla politica il primato che politici inadeguati o inconcludenti avevano messo in ombra. E lo fa, schmittianamente si potrebbe dire, assumendo il decisionismo come paradigma qualificante la sua azione che, dunque, per definizione non può arretrare di fronte ai riti della concertazione infinita e della minaccia perfino di chi lo sostiene di staccargli la spina. L'impopolarità, come ricordava tanti anni fa in uno splendido saggio John Fitzgerald Kennedy, I ritratti del coraggio, è doverosa per un politico, per quanto amara, se si convince che le sue iniziative saranno benefiche per il Paese pur dispiacendo chi lo ha votato. D'accordo, Monti non è stato eletto, ma non è detto che non debba rispondere di ciò che fa al Paese oltre che al Parlamento. E se la prudenza (altra dote del politico, come insegnava Tommaso Moro) si coniugherà con il decisionismo, potremo sperare che il suo tentativo alla fine avrà posto le basi per un successo che le ombre del conflitto sociale potrebbero oscurare.

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