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L'intesa di ABC non basta

Da sinistra Casini e Alfano

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La riforma della legge elettorale spacca i partiti. Sembrava che bastasse l'accordo raggiunto dall'ABC della politica (il trio Alfano, Bersani e Casini che martedì avevano trovato un'intesa per cambiare il sistema di voto) e invece, neppure ventiquattro ore dopo, i leader di Pdl, Pd e Udc si sono resi conto che il cammino per arrivare al varo della riforma non è così facile come sembrava. Anzi, proprio le linee guida concordate sull'ipotetico testo di legge elettorale potrebbero arrivare a creare ulteriori spaccature non solo all'interno delle coalizioni ma anche dei partiti stessi. E così, da sinistra a destra, passando per il centro, è tutto un tumulto. C'è chi protesta e chi cerca di spegnere le polemiche, c'è chi annuncia battaglie e chi difende questa idea di riforma. Eppure una cosa è certa, a pagare il dazio più pesante è proprio Pier Luigi Bersani che, dopo l'accordo con Pdl e Udc, sembra aver dato il colpo di grazia alla "foto di Vasto". Infatti il leader del Pd è finito ieri nel mirino sia di Antonio Di Pietro che di Nichi Vendola, che hanno criticato duramente l'accordo sia nel merito, visto che penalizza le forze minori, sia nel metodo perché ritengono che sia stato esautorato il Parlamento. Poi, come se non bastasse, non solo l'Idv e Sel hanno alzato gli scudi, ma anche tra gli stessi Democratici i malumori sono cresciuti a tal punto che Arturo Parisi é arrivato a vagheggiare un ritorno al passato, con Ds e Margherita separati. Disagi che si sommano all'irritazione che ieri più di un deputato del Pd ha mostrato per l'attacco di Mario Monti ai partiti, ultimo schiaffo dopo l'indigeribile riforma delle pensioni e l'ancor aperta questione dell'articolo 18. Qualcuno, ormai apertamente, paragona il premier al suo predecessore così attento ai sondaggi. Ma Bersani ha difeso la linea. «Siamo convinti che la legge elettorale sia la priorità», ha spiegato il segretario del Pd. Qualche dubbio sull'effettiva volontà anche degli altri partiti, e del Pdl in particolare, di arrivare a una modifica. «Non so se tutti quanti siano effettivamente convinti di questo», ha sottolineato. Per Di Pietro invece la riforma è irricevibile. «In un Paese democratico e in uno Stato di diritto si deve discutere della legge elettorale all'interno del Parlamento, non nelle sagrestie dei partiti», ha spiegato, «la legge elettorale che vogliono proporre passa dall'attuale porcata alla vaccata». Una protesta che diventa sottile nelle parole dell'Idv Antonio Borghesi: «È addirittura meglio il Porcellum rispetto a questa che è un Bordellum. Quanto proposto rappresenta una presa in giro di quel milione e duecentomila italiani che hanno posto la firma sul referendum per l'abrogazione dell'attuale legge». E Vendola? Dal canto suo, ha promesso «una reazione durissima, prima di tutto contro il Pd». Un avvertimento che il leader di Sel ha messo nero su bianco spiegando che, con la decisione di togliere l'obbligo di coalizione, «si vuole programmare la blindatura della casta». Dunque, «siamo alla riforma del Gattopardo». Più o meno sulla stessa linea Arturo Parisi che già da tempo, insieme con Rosy Bindi, dà battaglia sulla riforma da discutere, chiedendo un'assemblea nazionale del partito. «È un imbroglio. Non sarà più la totalità come con il Porcellum, ma sarà comunque la maggior parte. Di fatto sarà un Porcellinum», ha spiegato il deputato ulivista del Pd a Tgcom24. Poi l'affronto: i vertici del Pd «hanno fatto l'accordo con gli altri e poi lo sottoporranno all'assemblea a cosa fatta non lasciando alternativa al plebiscito. Mi chiedo se i dirigenti non debbano tornare ai loro vecchi partiti». Ma non tutto il Pd è indignato. In difesa dell'accordo si è schierato Enrico Letta che, su Twitter, ha raccontato: «L'intesa NoPorcellum non è ritorno al proporzionale. Lo schema 50% uninominale e 50% liste è parente del 75-25 del Mattarellum non della Prima repubblica». E c'é chi addirittura, come Giorgio Merlo e Vannino Chiti, esulta. Il vicepresidente della Commisione di Vigilanza Rai parla di «definitiva chiusura di un passato che ormai è francamente improponibile», mentre il collega vicepresidente dei senatori democratici mette in chiaro che «parlare di «inciucio a proposito dell'accordo tra Bersani, Casini e Alfano significa fare il gioco di chi vuole mantenere il Porcellum». Posizioni non condivise da Radicali, Comunisti e Verdi. I primi, con il segretario Staderini, parlano di un trio che si spaccia per riformatore e che invece è solo «conservatore». I secondi che, con il segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero, colgono l'occasione per chiedere a Vendola e a Di Pietro di unire la sinistra contro chi sostiene Monti e, infine il presidente dei Verdi Angelo Bonelli che invita a una mobilitazione di piazza. Ma se la sinistra piange, la destra di certo non ride. Nessuno attacca direttamente la linea stabilita da Alfano, certo è che chiari messaggi di insoddisfazione arrivano da più parti. Soprattutto da parte degli ex An. Proteste che si trasformano in una chiara richiesta al segretario del Pdl di discutere all'interno del partito su quale riforma sia più opportuna. Il primo ad alzare la voce è l'ex ministro Altero Matteoli che, appresa la notizia di un ulteriore vertice dell'ABC tenutosi ieri pomeriggio, tuona: «È necessario che Alfano convochi il partito per discutere su un argomento vitale per la politica e per il Paese».   Linea tenuta anche dal collega senatore Domenico Nania: «Un partito che non discutesse al suo interno sulla legge elettorale, sulle riforme costituzionali e sui regolamenti parlamentari sarebbe qualcosa di diverso da un organo essenziale della democrazia». Ben più diretto l'attacco di Fabio Rampelli, deputato del Pdl, che, dopo aver chiesto maggiore condivisione democratica, attacca: «Dovremmo prendere a pedate coloro che ci hanno lasciato questa eredità economica, da Andreotti a Napolitano, da Bersani a Casini e invece vorrebbero ricostituire la "balena bianca" che governa sempre, con maggioranze variabili e con qualunque programma, quella dei 51 governi in 48 anni...». Tanto malessere che il segretario decide di mettere a tacere convocando, per il 4 o il 5 aprile una riunione dell'Ufficio di presidenza. E intanto ieri pomeriggio a Montecitorio, Luciano Violante (Pd), Gaetano Quagliariello (Pdl), Ferdinando Adornato (Udc) e Pino Pisicchio (Api) hanno approvato il testo già anticipato martedì dopo il vertice dei segretari. Riunione alla quale avrebbe partecipato anche Ignazio La Russa, che uscendo ha commentato: «Bene hanno fatto Alfano e Berlusconi a convocare l'ufficio di presidenza».

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