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Il regime di Damasco uccide due reporter

La giornalista Marie Colvin

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Sono lontani i tempi in cui un reporter di eventi bellici moriva accidentalmente: come Robert Capa, l'ineguagliabile fotografo della Guerra di Spagna e dello Sbarco in Normandia che perse la vita in Indocina nel 1954, su una mina. Ora, dalla guerra in Bosnia (dove i cecchini avevano un «bonus»» per ogni reporter centrato), da vent'anni fotografi e cameramen sono diventati obiettivi da eliminare. E la Siria sembra essere il posto più pericoloso per i giornalisti, arrivati nel Paese mediorientale per raccontare il conflitto tra l'esercito regolare e i ribelli: due reporter occidentali sono stati uccisi in un bombardamento su un centro stampa allestito dai ribelli nel quartiere di Bab Amr, assediato dai lealisti siriani dal 4 febbraio scorso. S i tratta dell'americana Marie Colvin, 55 anni, e del fotoreporter francese 28enne Remi Ochlik. Entrambi erano celebri corrispondenti e inviati di guerra. In Sri Lanka, Marie Colvin fu ferita all'occhio sinistro, da allora coperto con una benda nera. Ochlik, 28 anni, lavorava per l'agenzia IP3, che aveva contribuito a fondare a Parigi. Il giorno prima di essere ammazzata la Colvin aveva detto che il conflitto siriano è uno dei più difficili da «coprire» proprio per l'entità dei bombardamenti: «Oggi - raccontava in un'intervista alla Cnn - ho visto un bimbo morire, ed è stato terribile, un bimbo di due anni. Un proiettile si era conficcato nel petto, a sinistra, e il dottore mi ha detto: "Non posso fare nulla"». E ancora: «A Bab Amr vivono 28.000 persone, e non possono uscire da lì. Qui c'è anche l'Esercito di liberazione siriano. Sono armati a sufficienza. La gente è terrorizzata dalla possibilità che se ne vadano». Altri tre i reporter feriti dalla bombe di ieri: un britannico e altri due francesi, dei quali una in gravi condizioni, Edith Bouvier di Le Figaro ferita seriamente alle gambe. E l'altra notte era rimasto ucciso Rami al Sayed, citizen journalist, ovvero uno di quei cittadini siriani che, ancora prima dell'arrivo dei reporter inviati dalle testate, avevano raccontato sui social network quando accade nel Paese del Medio Oriente. Quest'ultima, come altre morti del giornalismo «ufficioso», non fgiura negli elenchi delle vittime, compreso quello che pubblichiamo qui sopra. Insomma, è un mestiere in trincea quello dell'inviato o del corrispondente di guerra, e diventa sempre più rischioso. Nell'anno appena trascorso stando all'ultimo rapporto pubblicato dall'istituto Internazionale della stampa (Ipi) con sede a Vienna, sono stati 103 i reporter che hanno perso la vita. Cifre al ribasso per Rsf che parla di 66 morti nel solo 2011, che conteggia però il numero dei decessi dal 1995 al 2011, pari a 858 cronisti uccisi. L'anno più tragico è stato il 2007 con 86 omicidi. Nel lavoro di copertura degli avvenimenti bellici, i rischi sono numerosi per i giornalisti. Il pericolo è direttamente proporzionale all'instabilità politica delle regioni in cui gli addetti ai lavori vanno ad operare. Secondo le cifre stilate da Rsf, oltre ai morti, nel 2011, si contano anche 1044 giornalisti arrestati, 1959 aggrediti o minacciati, 71 sequestrati e 73 costretti a fuggire dal proprio Paese. Alivello internazionale,infine, sono ben 68 i Paesi in cui si registra la censura di Internet da parte delle autorità politiche. Il regime siriano ha affermato che non sapeva che i due giornalisti occidentali - rimasti uccisi nei bombardamenti a Homs - fossero entrati nel Paese. Due giornalisti sempre in prima linea. L'americana Marie Colvin e il francese Remi Ochlik, uccisi oggi in Siria, avevano in comune la passione per il lavoro di inviato di guerra. E prestigiosi premi alle spalle. Marie, era nata 55 anni fa negli Stati Uniti, ma da molti anni risiedeva in Gran Bretagna dove lavorava per il Sunday Times. Negli ultimi 20 anni ha coperto come inviata molte guerre e rivolte, compresi i conflitti in Iraq, in Cecenia, l'Intifada palestinese e le violenze in Sri Lanka, dove nel 2001 rimase ferita gravemente da una scheggia di granata e perse un occhio. In quell'anno fu insignita del premio come miglior 'inviato estero dell'annò della stampa britannica. Remi, 28 anni, fotografo free-lance per diverse testate tra cui Le Monde, Paris Match, Time Magazine e The Wall Street Journal, nel 2005 aveva anche creato la sua propria agenzia fotografica Ip3 Press. Nato a Thionville, nell'Est della Francia, Ochlik ha coperto nel 2011 le rivoluzioni in Tunisia, Egitto e Libia. L'anno scorso ha vinto il Gran Prix Photo Jean-Louis Calderon per tre fotoreportage di guerra intitolati «La caduta di Tripoli», «Egitto piazza Tahir» e «La rivoluzione dei gelsomini». Lo scorso 10 febbraio, Ochlik era tra i vincitori del World Press Photo, il più prestigioso premio di fotogiornalismo, per una foto scattata in Libia durante la rivoluzione. E pochi giorni Ochliv aveva ricordatro le ultime ore pasate insieme con l'altro giornalista francese uccso,m Jilles Jacquier Accanto al dolore resta una situazione diplomatica attorno alla crisi siriana senza cambiamenti: mentre l'Ue si prepara ad adottare nuove sanzioni contro Damasco e l'Arabia Saudita definisce «inutile» ogni dialogo con il regime di Bashar al-Assad, Russia e Iran ribadiscono la contrarietà a ogni ingerenza straniera.

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