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Il fantasma del Cav sull'anno giudiziario

Il ministro della Giustizia, Paola Severino durante l'Assemblea generale della Corte Suprema di Cassazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario

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Paola Severino ce la mette tutta: «Rendere la giustizia efficiente», «scommettere sulle proprie capacità», «ridisegnare un'Italia migliore». Sono queste, secondo il ministro della Giustizia, le priorità che il settore deve affrontare. La sfida che attende il Paese. A Catania per l'inaugurazione dell'anno giudiziario, il Guardasigilli garantisce «l'attenzione costante del governo» a tutte le procure esposte sul fronte della lotta contro la mafia, invita a condividere lo «spirito di servizio» e la «spinta nobile» dei giudici e ribadisce che «il livello di civiltà di un Paese si misura dallo stato delle carceri», perché «lo Stato non ripaga mai con la vendetta ma vince con le armi del giudizio e dell'applicazione scrupolosa delle regole e delle leggi». Sarà. Intanto, però, da Milano a Roma, da Firenze a Palermo, da Torino a Lecce, più che l'inaugurazione dell'anno giudiziario, sembra di assistere a veri e proprie manifestazioni di protesta, con i magistrati di tutta Italia che approfittano dell'occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa e fare il punto sui vecchi problemi del settore nella speranza che il «mutato clima politico» - come sottolinea il presidente dell'Associazione nazionale magistrati Luca Palamara - aiuti ad avviarli a soluzione. A dare il là è, come spesso accade, la procura di Milano. Ecco allora che il nemico numero uno della giustizia italiana diventa in un attimo - parola di Giovanni Canzio, presidente della Corte d'appello meneghina - la prescrizione. «Oggi - è il ragionamento - si rivela in realtà come un agente patogeno», in quanto «induce premialità di fatto, scoraggia le premialità legali e trasparenti dei riti alternativi, incentiva strategie dilatorie della difesa, implementa oltre ogni misura il numero delle impugnazioni» in vista dell'estinzione del reato. Ne consegue dunque lo «scivolamento ineluttabile del processo verso il proscioglimento» per «il mero decorso del tempo, a cui la difesa dell'imputato ha il pieno diritto di tendere» assieme però al «fallimento» dell'accertamento della verità e della «ricostruzione probatoria del fatto e con la sconfitta dell'ansia di giustizia delle vittime e della collettività». Al di là dell'«ansia di giustizia», l'allusione al processo Mills appare evidente. E Canzio non è l'unico. Anche Palamara interviene sull'argomento. Anche per lui la giustizia ha sì molte sfide da affrontare, ma la più importante riguarda, nel penale, la prescrizione e - guarda caso - soprattutto per i reati di corruzione. «Bisogna avere il coraggio di mettere mano alla disciplina - spiega il presidente dell'Anm - ce lo dice l'Europa». Quella meneghina non è l'unica procura a parlare di prescrizione, tanto che l'accanimento di alcuni giudici genera le proteste dei penalisti romani, che - in segno di disappunto - disertano la cerimonia inaugurale. «Le diverse relazioni fatte oggi dai magistrati in tutta Italia, sono all'insegna di una rivendicata volontà di egemonia nei confronti della funzione legislativa - attaccano - Si è inneggiato al ritrovato "clima positivo", che sarebbe sì utile, ma per affrontare riforme di sistema». Prescrizione a parte, (Milano ci aveva abituato), è dalla Puglia che arriva il più esplicito degli attacchi al Cav: «Al Presidente della Repubblica rivolgo un rispettoso saluto e il ringraziamento di cittadino ma anche di giudice, per averci allontanati dal precipizio verso il quale inconsciamente marciavamo, per averci tirato fuori dalla palude, per averci fatto svegliare da una sorta di incubo», esordisce il presidente della Corte d'appello, Mario Buffa parlando nell'aula magna del palazzo di giustizia di Lecce, avendola scambiata - forse - per una tribuna politica. Fortuna che, poco lontano, a Bari, Vito Caferra, presidente della Corte d'Appello, prova a rimettere le cose a posto: «L'ordinamento vieta opportunamente ai magistrati iniziative estemporanee di comunicazione e forme di protagonismo mediatico - sottolinea - Forse favoriscono alcune carriere, ma certamente creano confusione nei ruoli e sfiducia nelle istituzioni». Applausi.

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