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In Aula i leghisti insultano Monti

La contestazione della Lega Nord in Senato

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«Se vi interessa continuo, scusatemi se valorizzo il Parlamento». Solo per un attimo Mario Monti ha perso il suo aplomb e ha replicato ai senatori del Carroccio che continuavano a urlare a «Vergogna» dai banchi dell'Aula di Palazzo Madama. Il presidente del Consiglio ieri mattina ha informato il Senato sulle conclusioni del Consiglio europeo che ha sancito un nuovo patto fiscale tra i 26 Paesi Ue. Ma il partito di via Bellerio si é servito del dibattito per attaccare la manovra. E così hanno deciso di sventolare carteli di protesta: «Giù le mani dalle pensioni»; «È una rapina»; «Basta tasse». Il Professore ha risposto a modo suo: «Colgo l'occasione per dire che uno dei modi per arrivare a meno tasse per le famiglie» è anche quello di avere una fiscalità estesa anche al mondo della finanza. Ho notificato in sede Ue che l'Italia è disposta a cambiare la propria posizione su questo tema». Parole al vento per i fedelissimi di Bossi che hanno fatto partire dai propri banchi parolacce e insulti prima nei confronti di Monti, apostrofato come «maggiordomo» e poi anche contro Renato Schifani, definito «pagliaccio». Offese che hanno costretto quest'ultimo a sospendere la seduta: «È stata una sceneggiata mortificante», il suo primo commento per poi decidere di applicare un provvedimento di «censura» per il senatore leghista Enrico Montani, il più vivace nelle accuse. «Dai resoconti risultano evidenti le espressioni pronunciate», ha spiegato Schifani che poi ha chiuso l'incidente con un glaciale «preferisco dimenticare». Ma è la Lega a non voler dimenticare. «Non vogliamo essere presi in giro» ha dichiarato il capogruppo del Carroccio al Senato Federico Bricolo. Poche parole che però certificano la svolta: la Lega di «lotta» ha dichiarato guerra a Monti. All'appello mancano solo cappi e forconi ma i Lumbard sono già scesi in campo. E così ieri hanno lanciato l'affondo: Massimo Garavaglia ha paragonato Monti allo sceriffo di Nottingham bollando la sua manovra come una «rapina di Stato». Poi Giovanni Torri ha rincarato la dose: «I pagliacci sono due: il presidente del Senato e quello del Consiglio che è andato veramente oltre». E ancora: «Monti è concepito con una scatola cranica in cui non entrano abbastanza ram». Parole stigmatizzate da tutto l'agone politico ma che hanno fatto da incipit a quello che stava per accadere alla Camera. Ad un certo punto infatti è il capogruppo leghista Marco Reguzzoni a sfidare il Parlamento: «La Lega non parteciperà ai lavori del Copasir finché non ci sarà democrazia. La sua composizione non può essere affidata per 9/10 alla maggioranza». E per sottolineare come ormai la Lega non scende a patti più con nessuno, non appena la Giunta per le Autorizzazioni ha dovuto decidere sull'autorizzazione all'uso delle intercettazioni nei confronti di Saverio Romano, coinvolto in un'indagine di mafia, i Lumbard hanno votato a favore assieme a Pd e Idv, lasciando, dopo l'astensione dell'Udc, solo il Pdl a difendere l'ex ministro.   Tutto questo mentre in Aula prendeva piede un altro botta e risposta tra Lega e governo. Da una parte il deputato Maurizio Fugatti, dall'altra il ministro Piero Giarda. Oggetto del contendere una richiesta da parte del leghista per sapere se fosse vera «la voce» secondo la quale il governo «potrebbe anche modificare la manovra» e non rispettare il testo della commissione. Immediata la replica di Giarda: «Vorrei chiedere all'onorevole se ha informazioni, acquisite attraverso la sua... intelligence perché sarei grato se volesse riferirmele». Replica che non è piaciuta a Fugatti: Giarda «sia un po' meno supponente e abbia un po' più di rispetto per il Parlamento». E così alla fine la Lega si è trovata a difendere quel Parlamento che così tanto mal sopporta.

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