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Il fuoco contro Monti brucia sotto la casta

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Il fuoco dal quale Mario Monti e il suo governo tecnico debbono guardarsi bene non è tanto quello che un suo critico ieri gli rimproverava di avere in qualche modo attizzato aumentando all'improvviso i già salatissimi prezzi della benzina e del gasolio, quanto quello che si avverte dietro la crescente delusione per i mancati tagli alla politica. O per quelli troppo modesti apportati, o solo annunciati. Nei quali, poco importa se a torto o a ragione nel clima di protesta che i sindacati hanno sentito ancora una volta il bisogno di alimentare ricorrendo allo sciopero, alcuni hanno ravvisato la paura di ferire ancora di più il ceto politico sfiancato ma ancora capace di scalciare. O, se preferite, incapace di valutare le distanze che lo separano dai cittadini. È un ceto politico, o casta, come altri preferiscono più negativamente chiamarla, che pensa ancora di avere saldato i suoi debiti di credibilità rinunciando per il futuro ai vitalizi dei parlamentari e affini. E apportando non tagli ma parvenze di tagli a certi trattamenti destinati a sopravvivere come "diritti acquisiti". Come se non fossero acquisiti anche i diritti di pensionati e pensionandi, e di altri percettori di redditi, sui quali l'emergenza economica e finanziaria ha imposto al governo di intervenire. Qualcuno avrà notato domenica sera, seguendo per televisione la conferenza stampa di Monti e dei suoi ministri, quel signore anziano che si è levato per raccomandare al presidente del Consiglio, per via delle pensioni già guadagnatesi per le sue passate attività, qualcosa che lo stesso presidente peraltro aveva già annunciato: la rinuncia al compenso governativo, o la sua destinazione a iniziative o organizzazioni benefiche. Nel vederlo e sentirlo sono letteralmente saltato sulla sedia conoscendone il cumulo di pensione e vitalizi: pensione di giornalista e vitalizi di ex parlamentare europeo e nazionale. Non è il solo caso, naturalmente. Direi anzi che cumuli analoghi, maturati e percepiti da parlamentari o ex parlamentari provenienti da altre professioni, sono più la regola che l'eccezione. Non si è ancora avvertito nei "sacri" palazzi del Parlamento il buon senso, e neppure il buon gusto, di porvi rimedio senza lasciarselo chiedere, pronti piuttosto a liquidare come qualunquismo osservazioni o sollecitazioni di questo tipo. A nessuno è sinora venuto in testa alla Camera, con tutto quello che bolle nel Paese, con tutti i tagli, i bolli, i balzelli e i cosiddetti contributi di solidarietà giustamente imposti a noi comuni cittadini, di eliminare, per esempio, quella Fondazione omonima che provvede a organizzare eventi e pubblicazioni a cui potrebbero provvedere direttamente, e più economicamente, gli uffici ordinari di Montecitorio. Una Fondazione che, assegnandone di diritto nello statuto la presidenza a chi ha guidato la Camera nella legislatura precedente, sembra ideata e fatta apposta proprio per questo, a costo anche di qualche disavventura. Come quella capitata nel 2008 a Pier Ferdinando Casini, costretto per l'intervenuto scioglimento anticipato delle Camere a passare la mano dopo soli due anni a Fausto Bertinotti. Che grazie al governo tecnico di Monti, e alla prevedibile prosecuzione della legislatura sino al suo epilogo ordinario, potrà invece rimanervi per un altro anno e mezzo. E passare quindi la mano, a sua volta, a Gianfranco Fini. Che, anche in caso di mancata rielezione a parlamentare, avrà maturato il suo bravo cumulo di pensione e vitalizio. Vi sembra tutto questo, francamente, uno spettacolo o scenario compatibile, per stile e contenuto, con i tempi che la gente comune è costretta a vivere? A me non sembra proprio. Monti e i suoi ministri, naturalmente, non possono intervenire direttamente su o contro queste situazioni per l'autonomia che il Parlamento rivendica nella sua organizzazione interna e gestione economica. Ma i soldi alle Camere, i conferimenti dei fondi per il loro funzionamento, li deve ogni anno trovare il governo di turno. Che se non ne ha abbastanza, specie per permettere l'uso che se n'è fatto sinora, ha pure le sue buone ragioni da sostenere, e gli strumenti per farlo. Se altri, di destra e di sinistra, o come diavolo vogliamo chiamare gli schieramenti che si sono alternati in questi quasi diciotto anni di cosiddetta Seconda Repubblica, non hanno ritenuto di avvalersene, Monti ha la forza, o la necessità, di farlo. E di coniugare ancora meglio di quanto non gli sia sinora riuscito rigore ed equità nella gestione dell'emergenza affidatagli dal presidente della Repubblica e confermatagli con la fiducia dalle Camere. Che non potrebbero decentemente revocargliela, staccandogli la famosa spina, solo se e quando toccasse avvertire anche a loro le lame del rasoio elettrico del governo. Lo stesso discorso vale per i costi degli altri organismi istituzionali, e per i privilegi - sì, i privilegi - che in altre, ben diverse condizioni economiche hanno potuto procurarsi e accumulare vertici e personale dipendente. E vale naturalmente per i partiti, il cui finanziamento pubblico con lo strumento dei "rimborsi" elettorali, adottato peraltro per aggirare l'abrogazione referendaria disposta nel 1993 dai cittadini, ha assunto dimensioni e caratteristiche a dir poco sproporzionate. Che peraltro non sono neppure bastate a far passare alla politica, come dimostrano le frequentissime cronache giudiziarie, senza distinzione di colori, la tentazione e la pratica dei finanziamenti illegali.  

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