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Dal Quirinale arriva uno stop ai ribaltoni

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi

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Regge l'asse Berlusconi-Napolitano. E stavolta non è solo nelle parole e nelle interpretazioni giornalistiche. Stavolta il Quirinale mette nero su bianco l'accordo con il presidente del Consiglio. Con una nota, ovviamente impersonale, che viene diramata dopo l'incontro con il capo del governo che comincia alle 18.30 e dura per ben 45 minuti. Un tempo piuttosto lungo, che dimostra come il faccia a faccia (a cui assistono anche il segretario generale del Quirinale Donato Marra e il sottosegretario alla presidenza Gianni Letta) sia stato tutt'altro che rituale. «Il presidente del Consiglio - si legge nella nota - ha manifestato al Capo dello Stato la sua consapevolezza delle implicazioni del risultato del voto odierno (di ieri, ndr) alla Camera; egli ha nello stesso tempo espresso viva preoccupazione per l'urgente necessità di dare puntuali risposte alle attese dei partner europei con l'approvazione della legge di Stabilità, opportunamente emendata alla luce del più recente contributo di osservazioni e proposte della Commissione europea». «Una volta compiuto tale adempimento - è scritto ancora nel comunicato -, il presidente del Consiglio rimetterà il suo mandato al Capo dello Stato, che procederà alle consultazioni di rito dando la massima attenzione alle posizioni e proposte di ogni forza politica, di quelle della maggioranza risultata dalle elezioni del 2008 come di quelle di opposizione». Il Pdl ha gradito in modo particolare quella postilla dell'ultimo capoverso, dove si riconosce il valore del voto di tre anni e mezzo fa e della maggioranza che espresse. Significa che per prima cosa si seguiranno le indicazioni che arriveranno dal partito del premier e dalla Lega. Che hanno già detto chiaramente di volere il voto. Berlusconi è stato esplicito, sebbene si sia premurato di sottolineare in ogni occasione che «sarà il presidente della Repubblica a decidere».   Il Pd si sente fuori gioco, lacerato com'è dalle divisioni interne tra chi chiede il voto, chi sogna un governo tecnico, chi vuole seguire le richieste della lettera della Bce e quelle della commissione europea e chi invece è pronto a scendere in piazza purché non vengano approvare. Così Pierluigi Bersani con puntiglio rimarca: «Berlusconi non può condizionare un percorso che è pienamente nelle prerogative del Capo dello Stato e del Parlamento». Che succederà? Al Quirinale per ora si assiste ai verdetti che arriveranno dal Parlamento. Nel Pdl si temono smottamenti, altri deputati che non vogliono lasciare la cadrega, per dirla con Berlusconi. E non si tratta solo di deputati semplici ma soprattutto di ministri, viceministri e sottosegretari che sanno perfettamente di aver conquistato una posizione che difficilmente potranno riottenere: sono anche loro parlamentari e potrebbero mettersi in movimento in queste ore. Proprio per questi diversi big al vertice del Pdl suggeriscono al Cavaliere di non insistere ancora con il grido di "Al voto, al voto" perché potrebbe ancora disorientare le truppe. Poco importa perché il premier ormai è già avanti. Molto avanti. Oltre. Da giorni si sente in campagna elettorale. Si dice abbia già prenotato degli spazi pubblicitari e rispolvera l'idea della sua lista personale. Dice ad Angelino Alfano di scaldarsi e prepararsi alla campagna elettorale nella neve visto che le date che circolano sono tre: 29 gennaio, 19 o 26 febbraio ma quest'ultima sembra la più probabile per non far svolgere le elezioni troppo a ridosso del Natale. L'idea è di lanciare il segretario del Pdl come candidato premier nella speranza remota di favorire l'intesa con Pier Ferdinando Casini, che invece sembra del tutto intenzionato a fare una corsa solitaria. Le opposizioni si fidano poco invece del percorso segnato dal premier. Nessuno lo dice apertamente ma un po' tutti temono che l'annuncio di dimissioni serva a Berlusconi solo per prendere tempo e raccattare qualche altro voto in Parlamento. Ma nel Terzo Polo si mostrano accenti diversi. Mentre Italo Bocchino (Fli) chiede esplicitamente un altro governo, Casini è più sfumato: «Sono convinto che Berlusconi abbia la consapevolezza che la situazione economica e finanziaria dell'Italia non ci consente una lunga ed estenuante campagna elettorale».

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