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«Si rifugiano in famiglia. È l'unica istituzione che funziona»

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Ciho già scritto un libro». Franco Ferrarotti non usa mezzi termini per commentare i dati Bankitalia sui giovani. A causa del caro-affitti il 60% degli italiani tra i 18 e i 34 anni (negli anni '80 erano meno del 50%) vive infatti a casa con mamma e papà e la percentuale sale al 90% per gli under 24. Professor Ferrarotti, sono dati allarmanti? «Purtroppo, ma non è una novità, a pagare in maniera più dura la difficile fase economica e sociale che il nostro Paese sta attraversando sono i giovani. Quelli di cui avremmo più bisogno. Questo avviene principalmente per due motivi». Quali? «Da un lato, il precariato. Molti di loro vivono avendo sulla testa la spada di Damocle del rinnovo del contratto. Lavorano di tre mesi in tre mesi. Come si fa in questo modo a pensare al futuro con serenità?. Dall'altro, la disoccupazione. Più di tre milioni di giovani che hanno un'età compresa tra i 18 e i 25 anni non hanno un lavoro. Il livello di disoccupazione che in Italia è fermo all'8%, arriva quasi al 30% per quel che riguarda le fasce giovanili. In Italia i giovani li lasciamo a casa!». Bamboccioni sì, ma non per colpa loro, insomma... «Non sono bamboccioni. Questa connotazione negativa a me non piace. È la situazione statica del Paese che li costringe a farsi proteggere dall'unica istituzione che in Italia funziona, la famiglia. Che poi i risparmi di mamma e babbo mica durano in eterno!». Cosa fare, allora? «L'Italia è ferma da 7-8 anni. Dobbiamo riprendere a fare degli investimenti produttivi e infrastrutturali. Il territorio nazionale è disastrato, dobbiamo recuperarlo. So che non ci sono i fondi, ma se i progetti sono ben congegnati, i capitali si trovano». Venerdì sono scesi in piazza gli studenti. «Salvate la scuola, non le banche», hanno detto. E a Milano hanno lanciato delle uova contro la sede di Moody's... «Intanto le uova è sempre meglio farle in padella che lanciarle. Poi io credo che queste agenzie di rating vengano prese troppo sul serio. Svolgono una funzione pubblica, ma sono agenzie private. I giovani se la prendono con loro in modo più emotivo che razionale, non capendo che Moody's & company non creano la crisi. Semmai la fotografano. E a volte sbagliano». Giusto scendere in piazza? «È come combattere le febbre con la cipria. Le manifestazioni di piazza sono solo delle casse di risonanza, utili per gridare a gran voce i problemi, ma di certo non rappresentano la soluzione. La protesta deve diventare progetto nazionale, altrimenti altro non è che una grossa perdita di tempo e di energia». Dalla Spagna a Wall Street e adesso anche da noi, hanno scelto di chiamarsi indignados. L'indignazione è il sentimento giusto per reagire? «Io credo che l'indignazione sia sacrosanta. Quel che è davvero preoccupante è la rassegnazione. Ci sono più di un milione di giovani che si sono rassegnati: hanno smesso di studiare e di cercare un lavoro. Questo sì che fa paura».

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