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Più potere agli studenti

Il Primo ministro inglese Cameron

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L'università italiana è in una situazione difficile. Se oggi nessun nostro ateneo compete con i migliori americani ed inglesi, questo è soprattutto una conseguenza del fatto che le università italiane sono sottratte alle logiche di mercato, tanto che al loro interno la selezione si basa più sui rapporti personali che sulla qualità. Soprattutto mancano incentivi che spingano a fare più e meglio e anche punizioni, che penalizzino taluni comportamenti e permettano di licenziare quanti lavorano male. Talune interessanti idee si trovano nella riforma avviata in Inghilterra dal governo di David Cameron su cui si sofferma uno studio realizzato per l'Istituto Bruno Leoni da Carlo Lottieri: «Come Cameron vuole liberare le università e dare più potere agli studenti». Al centro del progetto c'è la constatazione che quella inglese può continuare a essere un'alta formazione di eccellenza solo se saprà dotarsi delle risorse adeguate. È impossibile reggere la concorrenza globale senza capitali che permettano alle università di disporre di strutture di qualità e, soprattutto, senza la possibilità di offrire alte retribuzioni ai docenti di domani. Ma come si può fare in questa storica, segnata dal dissesto dei conti pubblici. La riforma punta a fare affluire più risorse al mondo accademico riuscendo ad alleggerire gli oneri a carico dello Stato. In che modo? Come Lottieri illustra nel suo paper, la «quadratura del cerchio» si realizza grazie a un innalzamento delle tasse universitarie (che porterà più soldi alle università) e a una sostanziale generalizzazione dei prestiti d'onore. Con la riforma Cameron - che riguarda solo l'Inghilterra, dato che in Scozia, Galles e Irlanda del Nord l'istruzione universitaria è stata assegnata alle nuove autonomi - il governo è chiamato a distribuire meno soldi agli atenei e darne molti di più (in prestito) agli studenti, con il risultato che il bilancio delle università dipenderà ora dalle scelte degli iscritti, e molto meno dai piani sviluppati dal ministero. Il punto più caratterizzante della riforma è da riconoscere nel fatto che gli studenti inglesi finanzieranno personalmente i loro studi. Riceveranno infatti un aiuto, ma poi dovranno restituire allo Stato quel capitale. Lo schema prevede che il laureato inizi a versare il 9% del proprio reddito, fino alla completa copertura del debito accumulato, a partire dal momento in cui il suo reddito annuale supera le 21 mila sterline annue. Il governo composto da conservatori e liberaldemocratici ha molto insistito sul fatto che, statisticamente, i laureati hanno redditi superiori ai non laureati, e che quindi non appariva equo che i costi universitari fossero sostenuti dalla finanza generale e, di conseguenza, anche dai ceti più deboli. Ma ancor più importante è sottolineare come in tal modo sia più facile, per le università private, poter competere e attrarre a sé gli studenti, che in tal modo diventano i veri arbitri di ogni destino. Sono loro che, con la loro decisione di iscriversi in talune facoltà e non in altre, decideranno lo sviluppo del mondo universitario inglese. L'esigenza di «servire al meglio» i propri finanziatori indurrà gli atenei a mettersi sempre più al servizio della formazione degli studenti. Oltre a ciò, la riforma punta a togliere al ministero il controllo sui posti disponibili nei vari atenei (la logica del «numero chiuso»), così da togliere ogni sbarramento all'accesso. Ma oltre a ciò s'immagina di incentivare gli investimenti nel settore e anche le donazioni. Gli inglesi sono molto colpiti dal fatto che solo l'1,2% degli ex-studenti universitari inglesi ha fatto donazioni alla propria alma mater, mentre tale percentuale si aggira intorno al 10% negli Stati Uniti. E vogliono iniziare a colmare il gap.

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