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L'ora di uscire dal Palazzo

Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi

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Cosa pensiamo della manovra l'abbiamo già detto nei giorni scorsi: non ci piace. Con buona pace dei parrucconi che ci vogliono spiegare le leggi del rigore senza aver mai letto Adam Smith e neppure aver visto una sala trading. Con tutto il rispetto, vorremmo giocare un altro campionato e, caro presidente Berlusconi, non si può più dire «non abbiamo mai messo le mani nelle tasche degli italiani». Sta avvenendo. E i suoi elettori se ne sono accorti. Esca dal Palazzo. Ascolti il suo popolo. Siamo sommersi da una valanga di lettere e mail che dicono una cosa sola: «Dovevano tagliare le tasse, stanno facendo le stesse cose di Visco e Prodi. Non li votiamo più». È una rivolta che ha il sapore della delusione e viene dal blocco sociale che ha scelto il Pdl e il centrodestra nelle ultime elezioni. Non sono di sinistra, ma senza un cambio di rotta, quel voto non ci sarà più. Per questo mi auguro che la manovra venga seriamente emendata. Toglie senza dare, tassa senza redistribuire, deprime senza far crescere. I famosi tagli annunciati ai costi della politica sono virtuali. Dovevano spezzare le unghie e i denti alla casta, aspettiamo Godot. La manovra è un'occasione persa e un boomerang elettorale. Non abbiamo pregiudizi, facciamo solo i cronisti, raccontiamo quel che vediamo, ascoltiamo i nostri lettori. Non sono felici di quel che accade. Facciamo qualche modesta proposta: Marlowe auspica un referendum per l'abolizione delle province. Il direttore de Il Tempo è d'accordo e lo appoggia. Chi si farà vivo avrà il nostro piccolo aiuto, ma soprattutto la spinta ben più grande dei milioni di italiani che sono stufi di vestire i panni dei fessi che pagano il conto per i furbi. Avanti con le firme.  

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