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Vittorio non fa Sgarbi

Vittorio Sgarbi durante la sua trasmissione

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La verità Sgarbi la confessa quasi subito: «Il fatto è - ammette - che io sono prima un solista, che un direttore d'orchestra. O un costruttore di trasmissioni televisive». Suona come un avviso ai naviganti. L'eccentricità che ha contraddistinto il personaggio Sgarbi, non sarà abbandonata. Chi è al di là dello schermo è avvertito. "Ci tocca anche Sgarbi" inizia con un'anteprima con le note di Enzo Jannacci «Vengo anch'io no tu no», e il critico d'arte ripreso a Salemi tra il suo staff, nella sua casa, intento a preparare il programma. Poi la sigla vera e propria con le immagini del «Giudizio universale» di Michelangelo e travolgenti sequenze di catastrofi che scorrono sul «Dies Irae». Alla fine del filmato, è ancora musica, sulle note de «Il mio canto libero» di Lucio Battisti. La canzone avrebbe dovuto dare il titolo al programma, ma la moglie del cantautore avrebbe fatto delle obiezioni. L'ingresso in studio dello show-man avviene sull'«Inno alla gioià di Beethoven». Lui, vestito nero e camicia bianca senza cravatta, entra silenzioso applauditissimo dal pubblico in sala. Accanto a lui, nello studio con le scenografie che ricordano la «Scuola di Atene» di Raffaello, c'è il vescovo di Noto Antonio Staglianò. Porta anche una capra. Come in «Sgarbi quotidiani». Ed è così che comincia a il coro: «Capra! capra! Capra!». «Il fatto è che cominciamo», esordisce. Nel suo primo monologo lancia subito una frecciatina a quel Roberto Saviano, la cui ombra sembra essere presente sin da subito, nella «scuola di Atene» di Sgarbi. «Vogliamo mostrare ciò che l'Italia è, la sua grandezza, non il male, non il pettegolezzo, non il vizio di cercare il male degli altri», spiega. Ha qualche recriminazione da fare: «Abbiamo dovuto cambiare il titolo, abbiamo dovuto lottare per fare la diretta, che è un simbolo di libertà. La puntata di oggi doveva essere dedicata a Dio, ma ci hanno fatto cambiare». Si parlerà dei «padri». E in una trasmissione di Sgarbi, i padri non possono che essere i padri di Sgarbi. Comincia un lungo monologo, interrotto soltanto da alcuni contributi video. Il povero vescovo di Noto - rimasto lì in piedi accanto al «solista» senza dire una parola - viene fatto accomodare. Parlerà dopo di Dio e del Cristianesimo. Il sindaco di Salemi ricorda il primo dei suoi maestri, quel Federico Zeri cui poi augurò la morte in diretta tv al "Maurizio Costanzo Show", 22 anni or sono. «Adesso chiedo scusa per averlo maledetto, per averlo odiato. Del resto l'odio è un'altra forma di amore», spiega. Poi è la volta di Cossiga («che documento gli errori dei magistrati contro la vita di persone innocenti»), Pasolini, Longanesi. Poi sul palco arriva Morgan. Tenta un dialogo con lo show-man, ma Sgarbi è intento a difendersi dagli attacchi che ha avuto dai giornali e lo interrompe. «Ti ascolto volentieri», si scusa il cantante, cui poi Vittorio lascia il microfono per cantare. A scanzarlo dalla scena ci riesce Carlo Vulpio, («é dell'Idv, per coloro i quali dicono che sono di parte», sottolinea Sgarbi) e parla di energie alternative, attacca Vendola sull'eolico e parla di mafia in Puglia. Poi è di nuovo one man show. Si «incazza» con il pubblico che applaude e con il suo staff che pensa alle sedie da mettere sul palco «mentre uno legge Delfini». Alla fine Vittorio chiama sul palco suo figlio Carlo («di cui non sono mai stato padre, i figli appartengono alle madri») e ha in collegamento suo padre, che ha un suoi libro in mano. Quanti Sgarbi per parlare del bene dell'Italia.

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