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L'Umberto furioso imbavaglia i suoi e pensa a Milano

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Umberto Bossi

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Umberto Bossi è furioso. La tanto attesa svolta che avrebbe dovuto consegnare lo scettro di primo partito del Nord alla Lega non è arrivata e ora pensa ad una strategia per salvare il salvabile. E così, per prima cosa, impone il silenzio ai suoi. L'imperativo è categorico. Nessuno deve azzardarsi a parlare con i giornalisti. Nessuno deve andare in televisione. Tutto ora si decide a porte chiuse a via Bellerio. E proprio nella sede federale della Lega si sono riuniti ieri pomeriggio i vertici del partito. Un incontro durato circa tre ore al quale hanno partecipato oltre a Bossi, il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, quello della Semplificazione, Roberto Calderoli, il governatore del Piemonte Roberto Cota, il capogruppo alla Camera, Marco Reguzzoni, il segretario della Lega lombarda, Giancarlo Giorgetti, il figlio del Senatùr, Renzo Bossi, e il capogruppo in Consiglio comunale a Milano, Matteo Salvini. Tutti riuniti dall'Umberto per discutere dell'esito delle comunali a Milano e delle strategie da attuare in vista dei ballottaggi. E proprio in visione di quest'ultimo appuntamento elettorale Bossi ha dato mandato ai suoi di non parlare per non rischiare di scivolare e, magari, confermare uno stato d'animo di grande insoddisfazione nei confronti del Pdl e di Berlusconi per il suo modo di aver gestito la campagna elettorale volendo stravolgere un voto amministrativo in un «referendum» sulla sua persona. Le uniche parole fronte Lega che circolano sono quelle di Calderoli: «Non ascoltiamo le sirene dell'ultimo momento - ha detto - non cadiamo nei giochi di seduzione, la Lega sta con chi le riforme le vuole davvero e può realizzarle. La Lega - ha sottolineato - tutta la Lega è impegnata per vincere i ballottaggi e ce la metteremo tutta». Parole rassicuranti che sembrano promettere una tregua almeno fino all'appuntamento con le urne del prossimo 29 maggio anche se, fanno sapere dalle parti di Via Bellerio, il giorno dopo ogni scenario resta aperto, soprattutto in caso di sconfitta. Una nuova batosta nella «nostra capitale», continuano alcuni leghisti, «non sarebbe affatto digerita da Bossi e a quel punto si vedrà cosa fare con l'alleato di sempre, Silvio Berlusconi». La tentazione di tenersi le «mani libere» aleggia comunque sul futuro della maggioranza anche se Calderoli smentisce tutto: «Ho letto alcune supposizioni prive di fondamento circa quel che la Lega starebbe facendo ma sono elucubrazioni prive di qualsiasi sostanza. La Lega è riunita in queste ore proprio per trovare la strada per vincere i ballottaggi e Bossi per primo sta pensando a come vincere. E quando ci mettiamo ce la facciamo». Dal vertice intanto, a quanto si apprende, non sarebbero emerse particolari novità sul comportamento che la Lega dovrà adottare in vista del ballottaggio milanese. Tutto, forse, è rimandato a dopo l'incontro che lo stesso Bossi avrà con il premier nei prossimi giorni o forse già oggi. E intanto proprio ieri il premier ha cercato di smentire la possibilità di rotture con l'alleato spiegando ai suoi che «l'asse con la Lega rimane solido perché Bossi è il nostro alleato migliore». Eppure è con la «base» leghista che Bossi deve fare i conti. Quello zoccolo elettorale del partito è arrabbiato e, per interpretarne i sentimenti, è sceso in campo proprio un leghista della primissima ora: il vecesindaco «scheriffo» di Treviso Giancarlo Gentilini. «I leghisti duri e puri dicono "è meglio andare da soli". Io penso che si possono fare degli apparentamenti, ma con l'intesa che chi viene con noi deve prendere il Dna della Lega». E poi sui «mal di pancia» del popolo del Carroccio, ha aggiunto: «È vero, quando giro in Veneto mi dicono "abbiamo l'impressione che possa tornare la balena bianca". E io rispondo che non voglio nessuna "balena bianca", ma il leone padano che graffi ed elimini le cose che non vanno bene». Ora però gli occhi sono tutti puntati su Milano. Una sfida che i leghisti temono riserverà brutte sorprese tanto da vedere l'ipotesi della vittoria al ballottaggio dura come «scalare la montagna», anche perché «la motivazione manca». Il problema - riferiscono fonti parlamentari del Carroccio - è recuperare quella massa di elettori che non è andata a votare al primo turno, ovvero quella «quota di elettorato leghista volatile» che è stata a casa domenica e lunedì scorsi. Bossi e i suoi sapevano che Letizia Moratti sarebbe andata al ballottaggio ma certo non si aspettavano questi numeri e, come si dice in ambienti leghisti - c'è stata una sottovalutazione del fenomeno perché dei segnali c'erano: «In realtà - viene spiegato - che un governo a metà legislatura e considerando tanti problemi emersi (dall'immigrazione alla guerra in Libia) risenta nel consenso è considerato fisiologico. Ma questi numeri non se li aspettava nessuno e ormai - si dice a mezza bocca - Milano viene data per persa. Ciò che si teme di più è il terremoto che una sconfitta definitiva del centrodestra a Milano potrebbe causare sulla tenuta del governo. «Se Berlusconi perde in casa sua - si ragiona in via Bellerio - scatta l'effetto domino nel Pdl». E qui arrivano le rassicurazioni: «Bossi non ha alcuna intenzione di rompere con l'alleato, almeno per ora, almeno finché ci saranno le condizioni». Il che significa voti e appoggio sulle riforme care alla Lega «anche se - si precisa - il capo non metterà mai a repentaglio il suo partito».

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