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Un Sinistro amore per i processi

Ruby

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Con tutto quello che accade nel mondo, sulle nostre coste e – se permettete – nelle nostre tasche, visto il costo crescente, per esempio  di un pieno di benzina al distributore, questa nuova settimana porta ancora più delle precedenti il nome di Ruby. E dei suoi, chiamiamoli così, dintorni giudiziari e politici, fra uffici di tribunale e aule parlamentari, particolarmente quella della Camera, dove sta per essere sollevato un conflitto davanti alla Corte Costituzionale. Ai giornaloni, alle opposizioni di ogni colore o versante, alle loro piazze e piazzette debitamente intossicate, e ai salotti più o meno televisivi che ne amplificano i rumori, non interessano tanto l'esito della missione odierna del presidente del Consiglio a Tunisi per fronteggiare l'emergenza dei migranti o i suoi contatti internazionali per sbrogliare con gli alleati la già troppo insanguinata matassa libica. Interessa di più la sua assenza o presenza nelle aule del tribunale di Milano per i processi che lo riguardano. Al cui elenco si aggiungerà mercoledì quello di più recente, clamorosa e reclamizzata fattura: il processo appunto Ruby. Per il quale la Procura della Repubblica il 9 febbraio scorso chiese, e rapidamente ottenne, il cosiddetto rito immediato, tante e tanto schiaccianti essa sosteneva che fossero le prove raccolte a carico di Silvio Berlusconi per concussione e uso della prostituzione minorile. Tuttavia, nei circa due mesi trascorsi da quella richiesta gli inquirenti non sono rimasti fermi. Hanno continuato a indagare, intercettare, raccogliere e produrre documenti, con ciò stesso contraddicendo clamorosamente il presupposto stesso della richiesta di rito immediato. Se tutto era già chiaro e sufficiente il 9 febbraio per portare alla sbarra quel presunto mascalzone del capo del governo, che avrebbe intimidito per telefono uno o più funzionari della Questura di Milano perché rilasciassero con procedure sbrigative una minorenne marocchina finita nei loro uffici ma precedentemente passata per le sue lenzuola, non si capisce che bisogno ci fosse di continuare a cercare prove. O, meglio, indizi da scambiare per prove nelle solite e compiacenti rappresentazioni mediatiche. Non so se il presidente della Repubblica si sia posto questo problema e, provvisto com'è di mezzi e di autorità, abbia avvertito lo scrupolo di informarsi. È d'altronde assai recente la notizia ufficiale di informazioni giudiziarie assunte dal capo dello Stato sul conto di un deputato della Repubblica, Francesco Saverio Romano, prima di accogliere la richiesta del presidente del Consiglio di nominarlo, peraltro con esplicita e inconsueta riserva, ministro dell'Agricoltura. Ancora di più ha forse potuto o dovuto incuriosirlo e preoccuparlo un procedimento a carico addirittura del capo del governo, visto anche il delicatissimo profilo internazionale di questa carica. Sicuramente e giustamente alto è comunque l'interesse di Giorgio Napolitano per lo stato di agitazione dei magistrati, visto che ha accettato di incontrarne domani i vertici sindacali. Che vogliono spiegargli le ragioni delle loro proteste contro due norme sostenute dalla maggioranza alla Camera. Esse riguardano la responsabilità civile delle toghe e la riduzione della prescrizione di alcuni reati quando gli imputati sono incensurati. Nella prima norma, richiesta peraltro dalle direttive comunitarie per allargare le maglie troppo strette che oggi proteggono i magistrati dal rischio di rispondere dei danni procurati al cittadino dai loro errori, la casta giudiziaria ha visto persino una manovra intimidatoria e punitiva. Nella seconda ha visto e denunciato una specie di amnistia camuffata, voluta per far decadere subito il processo che il presidente del Consiglio temerebbe di più: quello per corruzione in atti giudiziari che porta il nome dell'avvocato inglese Mills, già condannato in via definitiva. Chissà se il capo dello Stato, con il garbo e la sottigliezza che lo distinguono, vorrà chiedere domani ai suoi ospiti perché mai si debba diffidare di una trasparente modifica legislativa della prescrizione e non della totale discrezionalità con la quale i magistrati gestiscono questa materia. Quando danno precedenza a certe indagini e processi essi infatti ne destinano altri surrettiziamente alla decadenza per prescrizione dei termini. Gli stessi magistrati ammettono che affogano così 150 mila processi l'anno. Che equivalgono a 410 ogni giorno, feriale o festivo che sia.

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