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Giustizia, Berlusconi si leva il dente

Berlusconi

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Berlusconi attendeva questo momento dal 1994. È da quando è «disceso in campo» che era tra i suoi obiettivi e ieri è arrivata la svolta: il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al disegno di legge costituzionale di riforma della Giustizia. Un successo arrivato con il consenso unanime di tutti i ministri che, ad approvazione avvenuta, hanno esultato applaudendo il Guardasigilli Angelino Alfano. Il quarantenne ministro, simbolo della nuova classe dirigente del Pdl, non si è perso però in chiacchiere, anzi, ha voluto spiegare subito i dettagli della legge riassumendo il suo spirito in una battuta: «Questo nuovo sistema prevede il giudice in alto, con pm e il cittadino allo stesso livello». Così da ieri è iniziato l'iter parlamentare del testo che, trattandosi di una riforma costituzionale, dovrà essere approvata due volte da entrambe le Camere. Qualora la legge dovesse ottenere un consenso pari ai due terzi dei parlamentari questa entrerà subito in vigore; in caso contrario, sarà sottoposta ad un referendum confermativo tra i cittadini. Questo però non spaventa il premier. La sua soddisfazione per essere riuscito a dare il via alla riforma supera la consapevolezza di avere più di un anno e mezzo di lavori parlamentari prima del voto definitivo. La macchina intanto è partita e, durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi, ha dimostrato la sua soddisfazione: «Presentiamo per la prima volta nella storia della Repubblica un testo di riforme costituzionali della giustizia che è completo, organico, chiaro, convincente».  Il suo pensiero ora è riuscire a spiegarne il contenuto ai cittadini dato che, commenta, «questa riforma è fatta nel loro interesse». Al bando quindi paroloni in «politichese» o lunghe conferenze per elencare le novità. Il Cav sceglie di andare al sodo della questione e così estrae dalla sua cartellina un disegno e lo mostra alle telecamere. È un grafico che rappresenta due versioni di una bilancia: nella prima uno dei due piatti prevale perché vi si trovano sia il pm sia il giudice, mentre sull'altro c'è solo l'avvocato della difesa; nella seconda, il giudice sta sul perno centrale e i due piatti sono equilibrati con il pm da una parte e la difesa dall'altra. Disegni al posto di parole. Il tutto per dimostrare che, come spiegherà poco Alfano, «l'accusa e la difesa sono uguali, e sopra entrambi vi è il giudice». Tra i tanti punti della legge ce n'è uno che Berlusconi ha particolarmente a cuore. Si tratta della regolamentazione «dell'inappellabilità per le assoluzioni in primo grado» perché un cittadino, assolto in primo grado ma processato di nuovo in appello e in terzo grado, «ha la vita completamente rovinata: lui, la sua famiglia, i suoi rapporti con la società e le sue finanze». Il cuore della riforma, ha poi aggiunto , è «il giusto processo» che «non deve solo essere portato a termine in tempi ragionevoli, ma garantire il contraddittorio e garantire la parità tra accusa e difesa. Il giusto processo è un diritto di tutti i cittadini». Uno sfogo che ai più è apparso come un modo per denunciare la sua situazione e a chi gli chiedeva se il caso Ruby avesse influenzato i tempi e i contenuti della riforma si è dovuto accontentare di un lapidario «Zero. È pensata dal 1994». Poi lo sfogo: «Questa volta mi prenderò la soddisfazione di essere presente nelle aule dei processi. Ho destinato la domenica alla preparazione e il lunedì alla mia presenza nelle aule dei tribunali. Spiegherò agli italiani come stanno le cose». Poi è l'ora di Alfano. A lui il compito di entrare nel dettaglio del testo che, tra le altre cose, prevede l'istituzione di due Consigli superiori della magistratura, uno per i giudici e uno per i pm, entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica: «I due organismi - spiega il ministro della Giustizia - saranno entrambi composti per la metà da magistrati e per l'altra metà da eletti dal Parlamento». Nel testo della riforma il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale «resta saldo ma applicato secondo i criteri previsti dalla legge», chiarisce il Guardasigilli perché questo è «un principio oggi sacrosanto» che però, nel tempo, «è stato trasformato da alcuni pm nel un suo contrario, cioè nell'assoluta discrezionalità di perseguire i reati» e dunque, di fatto, «il pm sceglie». E conclude: «La riforma non è una ritorsione contro qualcuno. È chiaro che si tocca qualche privilegio, ma non abbiamo presentato un quinto Vangelo». «In Parlamento - continua - saranno ascoltati costituzionalisti ed esperti di diritto» e sul tema, «non escludo di prendere contatto con gli esponenti delle varie opposizioni per poter fare una valutazione serena». Discutere con tutti diventa quindi la missione del Guardasigilli. Un suggerimento arrivatogli dal Colle ma condiviso anche dal presidente del Consiglio che, ieri, ha teso la mano all'opposizione: «Faremo di tutto per dialogare con loro». Da Pd e Idv, però, la chiusura è netta. Solo «chiacchere», solo «un diversivo» attacca il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani convinto che «per due anni si mangerà pane e giustizia e non cambierà un tubo per i cittadini». Duro anche Antonio di Pietro, che annuncia di voler presentare un emendamento per abolire la riforma «così antidemocratica da stravolgere lo stato di diritto». Più disponibile al dialogo, invece, il Terzo Polo anche se, su alcuni punti, manifesta già alcune perplessità. Sono i magistrati invece a preparare le barricate tanto che il presidente dell'Associazione nazionale magistrati Luca Palamara non esclude il ricorso allo sciopero. Decisione che sarà presa il 19 marzo prossimo.

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