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Camera chiusa. Non per gli stadi

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Lo stadio Olimpico di Roma

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Uno pensa: si staranno accapigliando sulla messa a punto della strada migliore per uscire dalla crisi economica. Macché. Allora staranno valutando come intervenire nella crisi in Libia, crisi umanitaria e petrolifera, crisi politica. Staranno parlando di questo? Neanche per sogno. E allora cercheranno la quadra in tema di giustizia, su come ridurre la durata dei procedimenti. No, neanche questo. Alla Camera dei deputati non c'è fibrillazione. Anzi. Nonostante i vari ed evidenti motivi di discussione, se non di preoccupazione. Ieri mattina Mario Landolfi, deputato del Pdl, alzava la voce in mezzo al Transatlantico perché da due anni e mezzo chiede che si autorizzi l'utilizzo delle sue intercettazioni telefoniche in modo da poter affrontare al più presto il processo, dal quale ritiene di uscirne assolto. Ma la giunta per le autorizzazioni non ha finora trovato il tempo, e a metà giornata di mercoledì ha già concluso il suo lavoro: se ne riparla la settimana prossima. Niente, nulla di nulla. A Montecitorio ieri solo un dibattito sul biotestamento, il cui testo comunque non sarà votato prima di aprile. Poi tutti a casa, come quando suona la campanella di scuola. Via, di corsa. Tutti al guardaroba a prendere valigia e soprabito, poi in volata verso l'aeroporto. Nella palude che sta diventando la Camera, c'è un solo provvedimento che va avanti. Nell'immobilismo generale, sembra che voli. Ed è la legge per la costruzione di nuovi stadi. Certo, non si tratta di uno dei provvedimenti di massima urgenza, visto che in questa fase gli spettatori negli stadi sono addirittura in drammatica discesa. Gli unici ad avere davvero fretta sono i presidenti delle squadre di calcio. Che hanno la necessità di patrimonializzare, di avere immobili per avere più soldi ed essere più competitivi nella sfida con i colleghi europei. Infatti, nel nuovo testo, viene generosamente concesso a chi realizza i nuovi impianti anche di costruire un po' di case, in modo da farci speculazioni e incassare liquidi. Dunque, si tratta di un provvedimento che non interessa neppure tutti i presidenti di serie A, ma solo i principali che operano in città grandi. E bastano loro a smuovere i deputati. E persino a metterli d'accordo. La legge era arrivata a un passo dall'approvazione addirittura in commissione in sede legislativa, ovvero senza dover passare per l'Aula: una corsia preferenziale che si può ottenere solo se tutti i gruppi sono d'accordo. L'intesa c'era, poi è saltata perché la maggioranza ha presentato un emendamento che toglie i vincoli idrogeologici e paesaggistici per la costruzione dei nuovi impianti sportivi. Una clamorosa deroga alle leggi urbanistiche, anche se solo il 9% del territorio nazionale ricadrebbe in questa fattispecie. Tolte le montagne, ed è ben difficile che uno vada a costruire uno stadio in cima alle Alpi, il testo riguarda solo poco più del 6% delle aree urbane. Per farla breve, c'è solo un progetto - tra quelli finora presentati - a rischio idrogeologico: è quello della Lazio. Evidentemente, il presidente Claudio Lotito è riuscito persino a convincere buona parte del Parlamento sull'urgenza della deroga alle leggi urbanistiche. Il Pdl, per esempio. Ma anche Fli (i suoi buoni rapporti con Fini non sono una barzelletta) e Udc (grandi strette di mano con Casini). Ma non la Lega e il Pd, che resiste. Dice il democratico Giovanni Lolli, aquilano: «Non me la sento di permettere di costruire uno stadio e poi anche delle case in una zona che potrebbe essere alluvionata». Ribatte Emerenzio Barbieri, Pdl: «Sono democristiano, continuo a credere al compromesso». Si vedraà la prossima settimana.

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