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Obama non è un comandante

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Barack Obama

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 In Libia, la rivolta contro il regime di Gheddafi continua ad avanzare e ha investito la capitale Tripoli, sconvolta  dai combattimenti. Il Colonnello ostenta sicurezza ed incita i suoi pretoriani a sconfiggere gli insorti. Ma tutto ha una fine e il destino di Gheddafi questa volta potrebbe essere davvero segnato. Tutto ciò, mentre il mondo resta inerte a guardare lo spettacolo della terza dittatura del Grande Medio Oriente, dopo quella tunisina ed egiziana, in procinto di essere spazzata via dal rinnovato vento di libertà che soffia forte nel mondo arabo-musulmano. Soprattutto l'Occidente sembra ancora una volta subire passivamente il corso degli eventi, timoroso di schierarsi in maniera inequivocabile dalla parte dei tanti libici che stanno combattendo per liberare il loro Paese da un'orrida satrapia quarantennale. Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, è stato finora l'unico leader ad invocare a chiare lettere la dipartita di Gheddafi, ma lo ha fatto solamente ieri, a troppi giorni dall'inizio della rivolta, quando è ormai facile prevedere quale sarà l'esito degli scontri, a meno di un clamoroso ritorno del regime che rimetta in discussione le sorti della guerra civile. Per il resto, non si è andati oltre la generica e scontata condanna delle violenze perpetrate su ordine di Gheddafi (ed anche in questo caso senza brillare in tempestività), laddove la proposta del premier britannico, David Cameron, di un'azione coordinata multilaterale nel quadro dell'Ue e dell'Onu resta tuttora a dir poco evanescente e priva di contenuti. Da parte americana, si conferma la riluttanza di Barack Obama ad andare oltre le enunciazioni retoriche, peraltro anch'esse tardive e mai convincenti, prendendo decisioni concrete in politica estera. È dunque un Occidente che manca di grandi leader, e se qui in Europa ci siamo quasi abituati, desta enorme preoccupazione il fatto che oggi il presidente degli Stati Uniti d'America non sia un vero comandante in capo. «Gli Stati Uniti sono la nazione leader del mondo libero e dovrebbero comportarsi come tali, difendendo senza indugi la libertà», ci ricorda Danielle Pletka, vice presidente dell'American Enterprise Institute, il principale think tank conservatore di Washington, DC. Pertanto, il comportamento del Presidente Obama è «inspiegabile dal punto di vista sia della politica interna che estera». Sul piano domestico, Obama «guarda in maniera disinteressata agli eventi», spiega Pletka, e all'estero non fa altro che «diffondere un senso di debolezza e di indifferenza dell'America rispetto alle piaghe di coloro che combattono per la libertà». E ciò appare eclatante nel caso della Libia e ancor prima dell'Egitto o della Tunisia. Ad ogni modo, i popoli di Nord Africa, Medio Oriente, Golfo ed Asia sud-occidentale stanno dimostrando di saper fare da sé e di non avere bisogno di alcun supporto esterno per prendere in mano il proprio destino e liberarsi dei propri oppressori. Ed è così che nel Grande Medio Oriente ha ripreso vigore quell'effetto domino che ai tempi di George W. Bush era rimasto impantanato in Iraq. Democrazia e libertà sono tornati ad essere una minaccia concreta per i regimi locali, e non solo. Il rischio che dalla corrente instabilità emergano vincenti le forze dell'oscurantismo islamista non è certo da escludere. Ma la volatilità dello scenario attuale riserva ampi spazi per sviluppi favorevoli. «Ogni rivoluzione ha in sé il potenziale per cambiamenti positivi», afferma Pletka, e alla luce degli avvenimenti in Tunisia, Egitto, Barhein, Libia e Yemen, «l'effetto domino è tornato in azione e quelli di Siria ed Iran potrebbero essere i prossimi regimi a restarne travolti». Speriamo.

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