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Un regime cade quando si vota

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Quando cade un regime? Ho posto questa domanda al pubblico ieri sera mentre presentavo «L'ultima lettera di Benito», il libro di Pasquale Chessa e Barbara Raggi sul carteggio di Mussolini e la Petacci durante i 600 giorni di Salò. Chessa, autore mondadoriano, uomo di sinistra, antiberlusconiano al titanio, ha capito al volo le mie intenzioni retoriche e da uomo colto e intelligente ha partecipato al gioco di rimandi, paradossi - e fiere contrapposizioni di idee - tra passato e presente, tra Benito e Silvio, tra il Duce e il Cavaliere. Questo gioco intellettuale basato sulla levità e l'ironia mi ha rivelato che l'azzardatissimo parallelismo, è in realtà ben sedimentato nella mente di molti militanti dell'opposizione. E non parlo solo di una certa sinistra radical chic, da sempre innamorata delle proprie fallaci metafore, ma anche di una fetta consistente di persone che non amano i salotti. Non siamo ovviamente sotto un regime dittatoriale, l'Italia è una democrazia dove si svolgono libere elezioni, nell'era berlusconiana - se la vogliamo definire tale - Berlusconi è stato sconfitto nell'urna e mandato all'opposizione due volte, eppure la narrazione del Duce Silvio è fortissima e in queste settimane ha accresciuto la sua presenza sui media, nel discorso pubblico dell'antagonismo impegnato. Tutto l'intervento di Roberto Saviano ha questo fil rouge. Lo scrittore - il più importante della Mondadori, la casa editrice guidata dalla figlia di Silvio, Marina - fa una premessa che serve a proteggerlo dall'accusa di ridicolo iperbolismo dicendo che la situazione non ha «niente a che vedere con fascismo e comunismo», ma affermando che «l'Italia oggi non è un paese libero» alimenta l'idea del Dittatore, con l'aggravante di non possedere il dono dell'ironia chapliniana. Torniamo alla domanda: quando cade un regime? Chessa sosteneva che la parabola mussoliniana fu rapida e imprevedibile. Vero. E questo può dunque condurre l'analisi e la costruzione di uno scenario in cui anche Berlusconi è atteso da una lesta uscita dal sistema politico. Ragionamento che ha ovviamente una sua logica e dignità di esistere, ma è tutto da dimostrare perché quella del presidente del Consiglio è ancora una storia in fieri. Nel nostro ritorno al futuro, se guardiamo la situazione presente, se osserviamo con un po' di realismo i pezzi del Risiko, ci accorgiamo che le condizioni di partenza sono estremamente diverse: 1. l'Italia oggi è un Paese ricco, più di quanto raccontino i declinisti a contratto; 2. Berlusconi ha ancora un larghissimo consenso nel Paese; 3. non c'è alcun progetto alternativo al Cavaliere né a destra né a sinistra. Tutto questo, in condizioni normali, sarebbe più che sufficiente per escludere una caduta rovinosa del Cavaliere e una sua parabola ancora piuttosto lunga, un tramonto rallentato dall'assenza di avversari credibili. Eppure il climax, l'aria che si respira in certi ambienti che pure hanno fatto buone letture, conoscono la politica, ne hanno più che annusato l'aria e hanno consuetudine con il potere, è quello dell'imminente cacciata dal Palazzo, della presa dello scettro da parte di altri gruppi di comando e dell'apertura di una nuova era di felicità post-berlusconiana. Mi sono chiesto: e se fossi io a sbagliare? In fondo i segnali di una prima erosione del consenso sono innegabili, la nascita di gruppi spontanei extraparlamentari è sotto gli occhi di tutti, il Santorismo e il Travaglismo sono fenomeni da non sottovalutare, le analisi con l'accetta di persone di mondo e di indubbia acutezza sono reali e non banali. Si, tutto reale, con l'aggravante di un'arma a doppio taglio: la crescita esponenziale dell'informazione. Tutto questo raccontone sul regime - vero, falso, semi-vero o semi-falso - è amplificato in misura infinita attraverso il sistema del «pervasive computing», la diffusione della rete che ritrasmette e proietta online la brutta novella di un popolo che sarebbe suddito inconsapevole di un satrapo-seduttore. Una sorta di realtà «twitterata» milioni di volte su televisione, radio, stampa e internet dove - a dispetto di quel che pensano i massmediologi a una dimensione - la vulgata è quella del Cavaliere killer della democrazia. Sarebbe facile liquidare tutto dicendo che ci troviamo di fronte a una colossale balla, ma in realtà qui non dobbiamo dimostrare cosa sia reale e cosa no, dobbiamo invece cercare di capire questo fenomeno di amplificazione e plastica rappresentazione di una condizione che non corrisponde al dato esistente, materiale, di vita quotidiana. Ciò che colpisce in questa proiezione dello spettacolo in eterna prima visione del Caimano sbranatutti, è l'assoluta intangibilità di fronte a fondate obiezioni e ragionamenti. Quella è la Verità e se a spanderla ai quattro angoli del mondo è un totem come Roberto Saviano, allora diventa peccato mortale perfino contestarla. Si ha ragione a prescindere e dunque non c'è alcun bisogno di aprire un dibattito. Si riempie un Palasport qualsiasi, si riempiono di luce megaschermi, si inondano le case degli italiani con qualche migliaio di militanti riuniti che issano la forca o calano la ghigliottina e il risultato finale - invariabilmente - è che quella è la maggioranza del Paese e dunque il Cavaliere è stracotto. Si tratta di una narrazione che ha effetti pericolosi, perché autorizza gli ingenui a credere che a questo punto contro il Dittatore e i suoi alleati sia consentita qualsiasi azione, compresa quella di sputare addosso a chi cerca di far emergere qualche buona idea a sostegno di una posizione liberale, di pieno rispetto dell'avversario e di decenza e onestà del discorso pubblico. Alla superiorità antropologica della sinistra si è sostituita la certezza antropologica che l'avversario si può abbattere manu militari. Questo tipo di narrazione è altamente tossica e a questo punto, se la ragione continua a dormire, se ne esce solo con un bagno purificatore: le elezioni.  

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