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Ma Silvio non farà la fine di Craxi

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Spiazzati anche dalle incertezze subentrate tra i sostenitori di Gianfranco Fini sul percorso della crisi reclamata il 7 novembre con la richiesta delle dimissioni del presidente del Consiglio, gli avversari di più lunga data di Silvio Berlusconi sono entrati nel panico. Che si avvertiva ieri tra le smorfie e le battutine con le quali Massimo D'Alema cercava non di rispondere, ma di sottrarsi alle domande dei giornalisti - i soliti rompiscatole - che volevano fargli commentare la "frenata" effettuata dal presidente della Camera con il videomessaggio del giorno prima. A sinistra, ma anche altrove, si chiedono increduli perché mai non si riesca a schiodare il Cavaliere dalla scena politica italiana con la stessa facilità con la quale si riuscì nel 1992-93 a schiodare Bettino Craxi. Che quella scena aveva fortemente caratterizzato, e alla fine anche dominato, nei sedici anni, quasi diciassette, trascorsi dalla sua imprevista elezione a segretario del Psi, avvenuta nel 1976. Pensate: sedici anni, quasi diciassette, anche per lui, quanti ne sono trascorsi dall'irruzione di Silvio Berlusconi nella politica italiana, avvenuta all'inizio del 1994.   Eppure gli avversari di Berlusconi, a sinistra e ora anche in quella parte finiana della destra che da mesi fa sognare la sinistra, dispongono contro di lui degli stessi mezzi micidiali usati contro Craxi nel 1992. Dispongono, in particolare, di un bel numero di magistrati specializzati nella caccia al Cavaliere. E di un bel numero di giornali e di tribunali televisivi, spesso gli stessi mobilitatisi allora contro Craxi, che vivono di antiberlusconismo. E che smentiscono nel modo più clamoroso la favola del "monopolio" belusconiano della Tv e, più in generale, dell'informazione. Bel monopolista o editore dominante, questo Cavaliere che per non rovinarsi il fegato dovrebbe evitare di vedere la televisione e di leggere i giornali, spesso anche quelli di proprietà riconducibile alla sua famiglia. La tragedia craxiana, evocata proprio in questi giorni nel palazzo senatoriale di San Macuto con un convegno di studio della Fondazione Socialismo di Gennaro Acquaviva su "Socialisti e comunisti negli anni di Craxi", non potrà essere quella di Berlusconi per una semplice ragione. Che è questa: il Cavaliere gode di un consenso popolare di gran lunga superiore a quello che Craxi riuscì a guadagnarsi anche nei suoi anni migliori, quelli trascorsi fra il 1983 e il 1987 alla guida del governo. L'operazione contro Craxi riuscì perché i suoi avversari, magistrati, politici o giornalisti che fossero, fecero passare nell'immaginario collettivo una equazione tanto ingiusta quanto rovinosa, anzi devastante, per via del finanziamento illegale della politica. Craxi divenne "il ladro" da linciare, come si cercò di fare anche fisicamente in piazza a Roma, per via delle tangenti incassate dal suo come da tutti gli altri partiti italiani, con l'unica eccezione - credo - dei radicali. Non si vergognarono neppure di accusarlo di avere "rubato" una fontana a Milano per portarsela in Tunisia. Non era vero nulla, naturalmente, ma la cosa apparve credibile ad un paese impazzito di rabbia e di voglia persino di sangue. Con Berlusconi questa favola del "ladro", o del "corrotto", capace di stuzzicare gli istinti peggiori e più irrazionali, non hanno potuto nemmeno tentare di lanciarla perché le sue ricchezze sono subito apparse agli elettori come una garanzia di onestà, e di impermeabilità ad ogni tentazione di segno contrario, nell'esercizio del suo ruolo pubblico. Nell'ultimo dibattito sulla fiducia svoltosi alla Camera, alla fine di settembre, il solito Antonio Di Pietro riuscì, in verità, a dargli anche del "ladro", con l'ugola e le vene gonfie di livore. Ma "ladro di democrazia", gridò il poveretto passando dalla figura di parlamentare a quella di comico. I voti che Berlusconi riesce a raccogliere nel Paese ogni volta che li chiede ed ha l'occasione di contarli sono tanti, e tanto convinti, che i suoi principali e più avveduti avversari in questa stagione di crisi, o pre-crisi, sono letteralmente terrorizzati dall'idea delle elezioni anticipate. Che il Cavaliere reclama perché convinto di poterle vincere, a dispetto di quanti sono ridotti a rovistare più tra le sue lenzuola che tra i suoi programmi politici. A reclamare le urne, certo, è anche Di Pietro, e pure Nichi Vendola. Ma all'uno e all'altro le elezioni anticipate fanno gola solo per togliere voti, nel campo antiberlusconiano, a quel partito in caduta libera che è il Pd guidato da Pier Luigi Bersani.  

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