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Silvio porta aiuti e incassa fischi

Berlusconi

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Fermo, istituzionale, ingessato. Un Silvio Berlusconi che vuole apparire quello dello spirito di Onna, quello del discorso del 25 aprile 2009, un discorso in cui tutti si potevano riconoscere perché il Cavaliere era il presidente di tutti. Il presidente al suo massimo consenso, quello che si sposava con un'altra figura tra le preferite di Berlusconi, il presidente del fare: veniva da tre settimane impegnato sull'emergenza terremoto. Una giornata così, tutta concentrata alle urgenze, ai problemi. Niente battute. Appena una barzelletta, lasciando l'auditorium della caserma della Guardia di Finanza di Coppito. Berlusconi incontra un gruppetto di allievi finanzieri e si lascia andare. Ecco la storiella: «Toc, Toc, "aprite siamo armati". Chi è? "La polizia". Ah, vabbè: temevo fosse la Finanza». Risate generale e arriverderci. Tutto qua. Il premier torna a l'Aquila, non può non ricordare che proprio qui si svolsero i funerali di oltre duecento vittime del terremoto del sei aprile. Si limita a toni soft, niente esuberanza solita. Di sé non usa i consueti accenti esaltati: «Credo di aver rappresentato degnamente il popolo italiano». Ringrazia uno a uno i comandanti delle forze dell'ordine che si sono spesi nel dopo terremoto. I carabinieri, l'Esercito, la Finanza, quando tocca alle Capitaneria di Porto si lascia scappare un «ci proteggono dagli assalti dei pirati». E per il Soccorso Alpino «spericolati che salvano gli spericolati: due spericolatezze, una spericolatezza generosa, una spericolatezza e basta». Dei Vigili del Fuoco ricorda il coraggio ai confini con la «temerarietà» nelle operazioni di salvataggio. Degli Alpini dice che si può dire «la stessa cosa» che vale per i sacerdoti: «Quando si è sacerdoti una volta si è sacerdoti per sempre». Di politica pura neanche una parola. Berlusconi fa di tutto per mostrarsi distante dalle diatribe di questi giorni e soprattutto evita di rispondere direttamente alla richiesta di dimissioni avanzata da Fini. Senza una risposta esplicita, il presidente della Camera è costretto a congelare per il momento le dimissioni dei suoi rappresentanti di governo. E ad accettare la richiesta di mediazione offerta da Bossi. Il Cav dovrebbe partire oggi pomeriggio per un vertice G20 alla volta di Seul e tornare nel fine settimana, ma la situazione del maltempo in Italia potrebbe spingerlo a rinunciare. In ogni caso l'impressione è che rimarrà tutto fermo fino a lunedì. Di crisi pilotata non se ne parla neppure, la linea è sempre la stessa: lavoriamo, andiamo avanti, se vogliono sfiduciarci lo facciano in Parlamento e poi lo dovranno spiegare agli italiani. Giovedì il «mediatore» Umberto Bossi vedrà Fini. Intanto lui, Silvio, tira dritto. Si mostra normale, lontano dagli eccessi dei festini di Arcore. Per due volte scherza sulla sua età. Capita a L'Aquila quando la squadra di rugby ringrazia per il contributo ricevuto dal premier, lui guarda le maglie che orgogliosamente riportano l'anno di fondazione della squadra e dice: «Abbiamo la stessa età, siamo nati entrambi nel 1936». Prima, a proposito del sopralluogo in Veneto, aveva detto: «Ho visto vecchiette come me spalare il fango». Già, il Veneto. Berlusconi vola sulla regione devastata dal maltempo. Poi arriva a L'Aquila in un infinito tour de force e racconta: «Sono stato in Veneto, dove l'alluvione ha causato danni ingenti, danni molto gravi. Anche in Veneto» come accaduto in Abruzzo, «l'Italia ha risposto in poche ore. In poche ore - prosegue - cinquemila tra forze dell'ordine e volontari sono giunti sul posto per aiutare le popolazioni. Ancora una volta l'Italia, attraverso il suo governo, ha saputo dare una risposta». Berlusconi ricorda con orgoglio che le banche hanno già assicurato un prestito di 700 milioni di euro, mentre «l'Europa manderà sabato prossimo - annuncia il premier - una commissione che dovrà valutare la messa a disposizione, come aiuto per calamità naturale, del 25% dei danni subiti in Veneto». Un premier che comunque non piace a tutti. A Coppito si ritrova qualche decina di contestatori, a Padova pure i fischi. Quanto è cambiato il Paese in appena un anno e mezzo.

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