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È tregua nella guerra delle monete

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Legrandi economie del pianeta trovano in Corea un accordo, non completo, ma sufficiente a disinnescare la guerra delle monete che si sta combattendo nel mondo silenziosamente a colpi di svalutazioni pilotate dai governi. Un meccanismo perverso che tenta, con manovre monetarie di riequilibrare i deficit commerciali dei paesi più industrializzati, ma crea come effetto collaterale tensioni e contrasti tra le cancellerie dei paesi. Si tratta di una quasi pace, o meglio un armistizio, con le venti nazioni che si sono impegnate a evitare svalutazioni per rendere più appetibili le loro merci e a far determinare al mercato i tassi di cambio. Non è passata invece la proposta americana di porre un tetto numerico ai surplus determinati da esportazioni spropositate. Cina e Germania, per i quali la proposta avrebbe significato forti danni, hanno alzato gli scudi accusando anzi Washington di creare instabilità sui cambi con l'emissione di liquidità per sostenere l'economia americana. Nel comunicato finale tuttavia si fa per la prima volta accenno agli squilibri delle partite correnti chiedendo al Fmi di sviluppare dei criteri per segnalare situazioni di rischio. Insomma una soluzione di compromesso sintetizzata dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti come «un passo avanti» (nonostante la riluttanza della Cina), rispetto «al silenzio assoluto» precedente. Seppure non si possa parlare di cambi tuttavia, ha riconosciuto il ministro, «c'è un avvio di un processo di critica verso un espansionismo spinto dalla politica dei cambi». A parte la riforma a sorpresa del Fondo monetario internazionale (giudicato il risultato più tangibile del vertice), il G20 ha anche dato un ulteriore via libera alle nuove regole della finanza messe a punto dall'Fsb di Mario Draghi e che dovranno ricevere il visto finale al summit di Seul. Lo stesso Draghi parla di riconosciuta importanza da parte di tutti «della cooperazione multilaterale» e dei benefici che comporta per evitare i rischi alla ripresa «che c'è ma è modesta». Un richiamo alla vigilanza mondiale per non vanificare quanto finora costruito dopo la fase più acuta della crisi. Draghi ha citato fra i rischi la fragilità nel settore finanziario, il persistere degli squilibri globali e la necessità di andare avanti sul terreno della sostenibilità fiscale. Inoltre altri pericoli arrivano da un perdurare dei tassi di interesse ai minimi per un periodo troppo prolungato, dai flussi di capitale straordinari verso i paesi emergenti e dal risvegliarsi del protezionismo.

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