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Nel Palazzo si teme un assalto giudiziario

Carlo Vizzini

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Rieccolo. L'assalto giudiziario sta per arrivare. Spiega un senatore pidiellino alla bouvette di Palazzo Madama: «C'è un gran movimento di procure. Quella di Milano sta facendo dei sequestri, si parla della Banca Arner. E Milano sta coordinando Caltanissetta e Palermo. Tra poco ne vedremo delle belle». Che vuol dire delle belle? E che cos'è la Arner? È un istituto di credito svizzero commissariato dal dicastero del Tesoro. Nel novembre scorso si è saputo di un'indagine della magistratura e nella banca sono stati trovati anche depositi di Silvio, Piersivio e Marina Berlusconi. Dopo non se ne è saputo più nulla, potrebbero esserci novità in arrivo. Bofonchia Sergio De Gregorio, un passato di giornalista spesso a cavallo di scoop, servizi e inchieste giudizarie: «Ha visto quella roba di Palermo su Schifani? Quello è un segnale. Si sono aperte le ostilità». Quella roba su Schifani è la notizia, anticipata dall'Espresso, di un'inchiesta per mafia sul presidente del Senato. La procura siciliana ha smentito. Carlo Vizzini, che di queste cose se ne intende, commenta amaro: «Sì, ma la direzione del settimanale ha confermato».   Insomma, nel palazzo torna l'incubo giudiziario. Un incubo che riaffiora ogni qualvolta Berlusconi mostra segnali di cedimento. Stavolta il sospetto di diversi berlusconiani doc è che Fini proceda ormai in combutta con i pm. Che sia lui la sponda delle toghe che si preparano ad azzannare il premier. Come? Bloccando i provvedimenti sulla giustizia. Vizzini, che è presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, non vuole commentare questo genere di ipotesi: «Senta, è inutile che ci giriamo attorno. Il governo può cadere o sul federalismo o sulla giustizia». Sarà sulla giustizia? Vizzini sta lavorando al lodo Alfano costituzionale, ma almeno su questo punto appare sereno: «L'accordo c'è, noi andiamo avanti». Di sicuro lo stesso Berlusconi è sempre più convinto che Fini sia una sorta di cavallo di Troia di altri poteri. Il Cavaliere si ferma con un gruppo di senatrici a chiacchierare. Mostra disinteresse sulla questione Montecarlo. Spiega che bisogna criticare Fini per il fatto che resta presidente della Camera pur fondando un nuovo partito: la logica vorrebbe che si dimettesse. Una pidiellina si accalora accusando Gianfranco di andare a braccetto con la magistratura e Silvio annuisce, ripete più volte il sì con la testa e ribadisce che il Paese è nelle mani di alcuni giudici che usano la giustizia a scopi politici. Sì, è vero, sono concetti che il premier ha sempre detto e ribadito. Stavolta però assumono un significato particolare. Testimoniano un clima che si fa sempre più incandescente. Berlusconi tra le cause ci mette un po' di tutto. Se la prende anche con i giornali del centrodestra, in generale con la linea oltranzista. Persino Ignazio La Russa parla di «accordo», o meglio di «patto per la legislatura da fare adesso». Certo, lo ammette ridimensionando la forza dei finiani: «Non sono decisivi, l'autosufficienza c'è». Sbuffa Andrea Augello, ex finiano rimasto nel Pdl: «L'accordo era a un passo. Ad aprile si poteva chiudere quasi a costo zero per Berlusconi, con un semplice ritocco dell'organigramma. A luglio si poteva fare rivedendo parte del programma. Ora lo si deve fare e costerà caro».

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