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Odio rosso contro "l'Amerikano"

Francesco Cossiga con il copricapo da indiano. Tra i vari soprannomi gli era stato dato anche quello di Amerikano

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Contro Cossiga è stato detto di tutto, sarebbe ipocrita dimenticarlo in questo momento. La sinistra, più o meno estrema, più o meno alla moda, l'ha definito, negli anni, assassino, fascista, nemico della democrazia. Qualche sciagurato ha anche gioito della sua morte. La sua colpa? Francesco Cossiga è stato il fiero sostenitore dell'amicizia tra Italia e Usa. Anzi, come «testa» lui era americano. La sua capacità di prevedere le situazioni, la convinzione di dover agire prima di essere strozzati dalle emergenze, l'abitudine a schierarsi, lo fanno apparire più «stelle e strisce» che «tricolore». Intendiamoci: non c'è uomo che fu più fiero del suo Paese, della sua regione, la Sardegna, e delle sue origini. Ma quando, giovanissimo, si trovò costretto a decidere: o di qua o di là, non ebbe esitazioni. E per il resto della vita non cambiò idea. «Io facevo parte di una formazione di giovani democristiani armati - spiegò una volta, rievocando le elezioni del 1948 - armati dall'Arma dei Carabinieri, per difendere le sedi dei partiti e noi stessi nel caso che i comunisti, perdute le elezioni, avessero tentato un colpo di stato». Fu una scelta di libertà e buon senso, la sua. Si schierò con il popolo amico e democratico che tanto sangue aveva versato per liberarci dal fascismo. Questa sua coerenza gli costerà gli attacchi ferocissimi di tutti quelli che ebbero in simpatia la dittatura dell'Unione Sovietica. E furono molti, che dipingevano gli Stati Uniti come l'impero del male, facendo finta di niente quando i Vopos, le guardie del Muro di Berlino, smitragliavano alla schiena qualche loro concittadino solo perché voleva fuggire dalla follia del blocco sovietico. Cossiga aveva orrore dello stalinismo. Se si parlava dell'Unione Sovietica e della dittatura invitava ad essere cauti: «Lo stalinismo - ammoniva - è una cosa seria». Negli anni Sessanta, visto che «lo stalinismo è una storia seria» fu il vertice e il referente nazionale di Gladio, sezione italiana di «Stay behind», l'organizzazione segreta dell'Alleanza atlantica pronta a reagire ad un eventuale attacco russo. Non lo negò mai, anzi, ne fu sempre fiero e per questo i postcomunisti di Achille Occhetto, quando Cossiga era presidente, nel '91, ne chiesero l'impeachment. Cossiga rispose definendo Occhetto «uno zombi con i baffi». Aveva ragione. La sinistra italiana rantolerà ancora per qualche anno ma, già allora, Occhetto era, politicamente, un morto che camminava. Comunque poi, in privato, Cossiga chiese scusa a Occhetto «per il dolore che ho dato ai suoi figli», con quella definizione. Cossiga sapeva quello che diceva e quello che faceva: è stato il più giovane sottosegretario alla Difesa; il più giovane ministro dell'Interno, nel 1976; il più giovane presidente del Consiglio, 1979; il più giovane presidente del Senato a 55 anni e il più giovane presidente della Repubblica nel 1985, a 57 anni. Oggi non se lo ricorda più nessuno, ma Cossiga presidente del Consiglio passò i guai suoi per essersi schierato a favore dell'installazione in Italia degli euromissili Pershing e Cruise, per fronteggiare gli SS20 del Patto di Varsavia. Gli si scagliarono contro i «pacifisti a senso unico», quelli che volevano il disarmo unilaterale dell'Occidente, tra questi parecchia gente della quale poi spunterà il nome nel Dossier Mitrokhin, cioè persone che, probabilmente, prendevano i soldi del Kgb. Bella razza di pacifisti. Questi pacifisti, gli intellettual-tromboni di sinistra (pure quelli ingrassati a rubli), gli studenti somari che, invece di studiare, facevano manifestazioni, appiccicarono a Cossiga il nomignolo «L'Amerikano», preso in prestito da un film di Costantin Costa-Gavras, sull'Uruguay degli anni '70. «L'Amerikano» era un agente segreto Usa incaricato di insegnare ai poliziotti dei governi reazionari come torturare e uccidere i ribelli. Il contrario di Cossiga. Già da ministro dell'Interno, nemico giurato delle Brigate Rosse, gli era toccato vedere il suo nome scritto con la K, ma anche con le due s in stile runico, il simbolo delle Schutzstaffeln naziste. A lui i moderati del Paese hanno sempre guardato come una garanzia di sicurezza, di lealtà verso lo Stato, di massima efficienza, accompagnate da un raro senso della misura. Per questo ha avuto la più luminosa carriera politica, ma anche l'eterna avversione dei «rivoluzionari da salotto». Lui ha reagito manifestando con pacatezza e decisione le sue idee. Ha dimostrato l'amicizia verso gli Usa anche in modo simpatico e anticonformista, ad esempio andando a mangiare patate fritte da McDonald's «alla faccia di Prodi» (nel 2004), o esponendo un gran bandierone Usa alla finestra (nel 2007). Ancora oggi, nel momento del lutto, suscita le reazioni stizzite delle frange più estreme della sinistra: dai centri sociali, attraverso i loro siti Internet, si sono levati malumori, per le troppe celebrazioni. Qualcuno ha scritto pure: «Cossiga è morto. È vissuto pure troppo, speriamo che tocchi presto anche ad Andreotti».   Si scordano che a Cossiga ed anche ad Andreotti devono molto. Se i ragazzi dei centri sociali di oggi sono qui, in Italia, a navigare su Internet dicendo sciocchezze lo devono anche a loro. Perché è anche di Cossiga il merito del saldo legame dell'Italia con l'Occidente. Se l'Italia nel passato si fosse ritrovata dietro alla Cortina di Ferro oggi quei ragazzi che tanto protestano non sarebbero qui. Starebbero in Germania o in Francia, sotto ad un semaforo, sperando di raccattare qualche spicciolo pulendo i vetri delle auto.

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