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Rissa Italia

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Francesco Barbato, deputato dell'Idv, dopo essere stato colpito da un pugno ad un occhio alcuni deputati del Pdl in aula a Montecitorio

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Questo Paese ogni tanto sembra impazzito. Non sono un apocalittico, ma lo scenario è davvero singolare. Sembra di essere su un reality show intitolato Rissa Italia. Solo che non è fiction televisiva, il tutti contro tutti è maledettamente vero. Una maggioranza solida alla Camera e al Senato esce vittoriosa dalle elezioni regionali e riesce a incartarsi con le sue mani. Una classe politica che dovrebbe mettersi in ascolto del cittadino si chiude in se stessa e finisce per apparire distante e intenta a raccattare odiosi privilegi. Ieri si sono presi a pugni a Montecitorio. Uno spettacolo. I giornalisti, nel bel mezzo della più grande crisi della carta stampata dal dopoguerra a oggi, per protestare contro un pessimo disegno di legge sulle intercettazioni non trovano di meglio da fare che scioperare e ridursi così al silenzio che fa comodo solo al potere. Gli industriali si lamentano - e non hanno tutti i torti - di un fisco che non funziona e di uno Stato che investe poco nelle infrastrutture, ma quando vengono chiamati al pubblico impegno in politica dicono che no, non gli interessa e tornano al loro mugugno. Un Partito democratico nato per essere riformista, si ritrova in poco tempo avviluppato in estenuanti sedute di autocoscienza e prigioniero di un alleato - Di Pietro - che non perde occasione per evocare una distruttiva «rivolta sociale». Uno Stato con un debito pubblico mostruoso che non accetta il fatto ineluttabile di dover essere ridimensionato e anzi pretende di estendere i suoi tentacoli su ogni aspetto della nostra vita. L'unità nazionale, dura conquista di un popolo, messa in discussione con i simboli della nazione - l'inno e la bandiera - ridicolizzati da una forza politica importante ma ancora immatura come la Lega. Un'università piena di baroni e scansafatiche che non riesce a ripensarsi e introdurre il benché minimo elemento di merito nella selezione dei docenti. I giovani - eterna speranza - che inseguono modelli di consumo facile e la vecchia utopia dei diritti senza doveri. Senza un cambio di marcia collettivo non usciremo mai da questo stato di cose.   I nostri padri hanno ricostruito nel dopoguerra un Paese sconfitto, in ginocchio, una maceria fumante. L'Italia era letteralmente a pezzi, arretrata, in ginocchio. Ma ci sono stati uomini e donne che si sono rimboccati le maniche, hanno inseguito con realismo e fantasia il sogno di un Paese migliore e hanno creato il «boom». Più scorro le notizie, più affronto la realtà che ci circonda, più cerco di capire, più realizzo che siamo di fronte a un problema che riguarda il nostro carattere nazionale, la nostra identità. Questo problema emerge con prepotenza proprio nel momento in cui l'Italia s'appresta a celebrare i centocinquant'anni della sua unità e temo non sia un caso. Un Paese che ha vissuto la contrapposizione dei blocchi ideologici durante la Guerra Fredda, con una Costituzione figlia di un compromesso tra -ismi, che non riesce a pensare e soprattutto ripensarsi per affrontare le sfide della contemporaneità, ha per forza il fiato corto. Leggo sempre più spesso libri di storia per cercare di afferrare quel che sfugge alla cronaca giornalistica. E invariabilmente trovo testimonianze e analisi eccellenti sui nostri problemi. Anche le soluzioni sono disegnate nettamente e a portata di mano. Ma con altrettanta chiarezza al dibattito non segue mai l'azione. L'Italia ha un solco gigantesco che separa la teoria dalla prassi, il pensiero astratto dalla concretezza. I governanti si succedono e i problemi continuano ad essere non risolti ma tamponati. L'altro ieri leggevo dei brani sulla storia di Confindustria. Tanti presidenti si sono alternati fino ad oggi. E in ognuno di loro c'era del buonsenso, l'indicazione di una via possibile. Se facciamo lo stesso esercizio con la politica, scopriamo che anche nel Palazzo non mancano le buone idee, ma le leggi, l'azione di governo, sono poco incisive. Non parlo di minutaglia, ma dei provvedimenti che fanno la differenza tra una grande potenza e uno staterello che vivacchia sperando nella fortuna che, nel nostro caso, è lo stellone italiano. Non mi piace la letteratura declinista né la versione ottimista che riprende il mito degli «italiani brava gente» anche quando non lo sono. L'Italia ha problemi molto grandi da risolvere, il governo li affronti in maniera decisa, altrimenti rischia di andare a casa. Nessuno potrà sorprendersi perché l'elenco delle cose da fare è arcinoto e lo stellone non brilla più.  

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