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Operai più saggi dei sindacalisti La cosa importante è il lavoro

La manifestazione degli operai Fiat di Pomigliano d'Arco, Napoli

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«Servi del padrone». Era questo lo striscione che i Cobas hanno issato quando sfilavano i dipendenti della Fiat di Pomigliano d'Arco che dicono sì all'accordo con l'azienda. Donne, uomini, bambini. Famiglie che chiedono una sola cosa: lavoro. Ma a una fazione politicizzata del sindacato questo interessa meno. Anzi, non gliene importa un fico secco. La Fiom da tempo è impegnata in una battaglia ideologica che l'ha allontanata dagli operai che vogliono lo stipendio a fine mese, ma nello stesso tempo le ha dato le chiavi della Cgil. Non chiudono i contratti, ma dominano la scena.   C'è chi sostiene l'abuso contro il diritto, la furbizia contro il dovere, il senso cinico contro il senso civico, l'assenteismo contro la produzione, il menefreghismo contro l'impegno. Il corteo di ieri a Pomigliano che urlava «dateci la Panda» è la rappresentazione di uno scontro di civiltà. Culture diverse che confliggono nell'epoca della globalizzazione in un Paese, l'Italia, che in larga parte non ha ancora compreso che la festa è finita da tempo. Abbiamo nuotato allegramente nel mare del debito pubblico, ma ora quell'oceano di è popolato di squali che ci sbraneranno se non torniamo al timone della barca. Si affanneranno a dire che quel corteo non rappresenta gli operai, che erano tutti impiegati, che quella gente pacifica dalla faccia pulita era pagata dalla Fiat. É un copione già visto in anni terribili che io spero vivamente non ritornino. Questo Paese ha un passato di violenza i cui spari echeggiano ancora, facciamo tutti finta di averlo dimenticato, ma è dalle fabbriche e dalle università che si sono mossi i carnefici della storia contemporanea. L'Italia è un luogo ridente, è stato culla di civiltà, terra feconda dell'arte. Ma è stata anche teatro della guerra fredda, ring brutale delle ideologie, trincea degli -ismi e racconto di nerissima cronaca.   Per questo i toni con cui una parte della classe politica irresponsabilmente dipinge la Fiat, il sindacato che pensa ai lavoratori e non alla propaganda, i dipendenti che vogliono conservare il posto, sono da registrare con attenzione. Eccole, le parole che sono piovute ieri insieme ai goccioloni mentre il corteo sfilava pacificamente. «Manifestazione di regime organizzata dalla gerarchia aziendale» (Fiom). «Referendum farsa» (Di Pietro-Zipponi). «Non possiamo tornare agli anni delle persecuzioni» (Rifondazione). «Prigionieri di guerra» (Cobas). «Alla prima occasione succederà quello che è successo a Melfi: la rivolta dei lavoratori» (Cremaschi). Nervi a fior di pelle. Qualcuno dice che questo clima sia alimentato anche dalle dichiarazioni di Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat. Ribadisco quanto ho scritto ieri: il signor Fiat ha rotto il muro d'ipocrisia che ruota intorno a questa vicenda. Lo stabilmento di Pomigliano d'Arco ha livelli di produttività vergognosi. Altrove la Panda la producono meglio e se una fazione del sindacato ha deciso di giocare una partita in cui la posta in palio è il futuro della fabbrica, allora l'azienda ha il diritto di pensare a ogni soluzione. Anche salutare tutti e ritornare in Polonia. Di certo Marchionne non starà a Torino a girarsi i pollici e lasciare che l'azienda - un bene dell'Italia, non della Fiom - venga stritolata dal burosauro metalmeccanico. Rattrista vedere il Partito democratico comportarsi come nei tempi cupi, con la politica del «né né» che negli anni di piombo fu una sciagura. Il solo sindaco di Torino, Sergio Chiamparino - uno che le cose della Fiat le conosce bene - ha cercato di invitare tutti al realismo. Per il resto, siamo di fronte a una vergognosa pantomima della sinistra di fronte a una trattativa che rischia di diventare una tragedia. Il Pd visto ieri riunirsi per offrire le sue ricette sulla manovra economica è stato istruttivo. Nicola Imberti sul nostro giornale ne racconta bene i tic, i vezzi, i vizi, gli errori che continua a ripetere. Quando un partito affida ai comici il suo messaggio, vuol dire che è una barzelletta. L'Italia avrebbe bisogno di un'opposizione migliore, di una classe dirigente progressista più seria, colta, informata. Niente. Il Paese reale è una cosa ben diversa rispetto a quella descritta da Bersani e soci. Sono ben conscio del fatto che anche nel Pdl la politica stenta a farsi largo.   Però, cari lettori de Il Tempo, ditemi voi qual è l'alternativa che offre oggi l'opposizione? A piazza Colonna, accanto a Palazzo Wedekind, sede del nostro giornale, vedo ogni giorno sfilate di gruppettari armate di megafono e tamburo. Fanno un gran casino, sono un'enciclopedia di strafalcioni e idee spesso pericolose. Sono la minoranza rumorosa. La maggioranza silenziosa è come quella che a Pomigliano chiedeva «dateci la Panda». Non è la rivoluzione, non è la ghigliottina, non è l'utopia, è una cosa semplice che ci hanno insegnato i nostri padri: il pane per la famiglia.  

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