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Donne in pensione più tardi ma con un "anno familiare"

Donna in ufficio

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Offresi tempo, in cambio di tempo. Se l'Europa insiste a mandare in pensione le dipendenti pubbliche italiane più tardi, accontentiamola: ma in modo da favorire le donne, le loro famiglie (figli compresi), e senza troppo infierire sulle casse pubbliche. Come fare? Alcuni fautori dello slittamento dell'età pensionabile femminile hanno proposto di reinvestire i risparmi (veri o presunti) ricavati dalla riforma in servizi di assistenza all'infanzia e alla famiglia, in modo da sollevare le donne in età attiva dall'onere del lavoro di cura. Ma invece di puntare sul denaro, si può intervenire sul tempo - con qualche benefico effetto collaterale anche economico. Offrire tempo in cambio di tempo significa fare in modo che gli anni in più a fine carriera siano recuperabili durante la vita lavorativa. Ossia, introdurre un periodo di congedo finalizzato non più solo alle esigenze di formazione - com'è già oggi in parte possibile -, ma a quelle familiari: per assistere parenti non più autosufficienti, anziani, disabili - o semplicemente, per dedicarsi ai propri figli, magari nella prima infanzia, quando hanno più bisogno della presenza dei genitori (e senza necessariamente delegarli a terzi, per quanto qualificati). Una sorta di "anno familiare", che avrebbe l'effetto di una parentesi nella vita lavorativa: durante il quale il dipendente conserverebbe il posto, maturerebbe contributi, ma non percepirebbe alcuna retribuzione. Il congedo sarebbe finanziato con un anticipo del TFR, risultando così a tutti gli effetti una sorta di "assaggio" della pensione futura: senza che il dipendente gravi (troppo) sulle finanze dello Stato. Naturalmente, in ossequio alla parità tra i sessi, la facoltà di richiedere il congedo sarebbe aperta tanto alle donne quanto agli uomini. L'"anno familiare" porrebbe fine a un controsenso tutto italico. Da un lato, le madri lavoratrici che sperimentano una quotidiana sequenza di acrobazie, nella quale riescono vincitrici solo a patto di fare le lavoratrici a tempo pieno, e le madri a tempo perso. Dall'altro, le nonne, beneficiarie di un welfare che le accoglie ancora vigorose tra le braccia della pensione, e immediatamente cooptate per badare ai nipotini; nella mancanza non solo, e non tanto, di asili nido, ma soprattutto di una politica e di una legislazione che intitolino madri e padri a farlo personalmente. Fare i nonni in Italia è più facile che fare i genitori: il risultato è che siamo un paese che invecchia, perché pensa solo alla terza età, e pensa solo alla terza età, perché invecchia. È il tempo il vero nemico delle donne italiane: il tempo che le pressa tra un cartellino e l'altro, con le borse della spesa in mano e i figli da prendere a scuola o dai nonni (sempre più impazienti di godersi il meritato riposo). Aprire nuovi nidi, nuove case di riposo o staccare assegni per colf e baby sitter può aiutare queste donne solo in parte: solo se sono disposte a accantonare una parte della loro vita, solo se traducono conciliazione con rinuncia, solo se sono disposte a scambiare il tempo con il denaro. Offrire loro tempo, in cambio di tempo, è la migliore proposta che a queste donne si possa fare.

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