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Il Papa interviene sulla crisi «La politica prevalga sulla finanza»

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Perchéil rischio di una società in cui le religioni sono sempre più messe alla porta del dibattito pubblico è che manchi una vera «interazione etica» orientata verso il bene comune. Ed è necessario che la politica abbia il primato sulla finanza. Benedetto XVI, in un discorso alla Fondazione Centesimus Annus-Pro Pontefice, analizza le ragioni della crisi, e punta il dito anche su «quei governanti che, a fronte di rinnovati episodi di speculazioni irresponsabili nei confronti dei Paesi più deboli, non reagiscono con adeguate decisioni di governo della finanza». Il problema di questa crisi è prima di tutto etico. Chiedendo che la politica abbia il primato sulla finanza, Ratzinger punta su quella nuova generazione di politici cattolici della quale parla da tempo: alla plenaria del Pontificio Consiglio per i laici, venerdì, Benedetto XVI ha ricordato che «la politica, nella visione cristiana, è un ambito molto importante dell'esercizio della carità». Ma la carità, come sostiene l'enciclica Caritas in veritate, si mette in atto solo se collegata alla verità. Un binomio inscindibile, messo in crisi dalla società di oggi. «L'esclusione delle religioni dall'ambito pubblico - denuncia il Papa - come, per altro verso, il fondamentalismo religioso, impediscono l'incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell'umanità; la vita della società si impoverisce di motivazioni e la politica assume un volto opprimente ed aggressivo». Per Ratzinger, «uno dei maggiori rischi nel mondo attuale è quello che - come sostiene nella sua enciclica sociale - all'interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l'interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano». E afferma: «La politica deve avere il primato sulla finanza e l'etica deve orientare ogni attività». Per questo, sono necessari dei paletti. Sostiene l'economista Leonardo Becchetti sull'Osservatore Romano che «la risposta delle istituzioni per riportare al centro la persona e promuovere il bene comune sarebbe molto semplice: ora che il sistema finanziario si è ripreso, sono molti a pensare che esso andrebbe tassato e regolamentato per recuperare quanto prestato dagli Stati nei momenti di massima difficoltà». Una tesi che sta raccogliendo sempre più sostenitori e tra questi, seppure implicitamente, anche il Vaticano. Afferma Becchetti: «Se ovviamente la disciplina di bilancio, la trasparenza e correttezza degli indicatori di spesa e il patto fiscale tra cittadini e Governi sono valori da ribadire in questo delicato frangente, non è possibile prendersela con il bagnino che rischia di affogare trascinato a picco dal bagnante, dimenticando il suo tentativo di soccorrerlo. In questi mesi si gioca una partita decisiva per ricuperare misura e proporzioni tra politica, finanza ed economia reale. L'alternativa è tra il caos e le regole». La linea «diplomatica» della Santa Sede si concentra sulla creazione di una nuova assemblea alle Nazioni Unite dedicata all'economia (sarebbero già state inviate le prime documentazioni), con rappresentanti delle cooperative, della società civile, delle Chiese. Ma da dove viene la crisi? Il Papa spiega che «la crisi e le difficoltà di cui al presente soffrono le relazioni internazionali, gli Stati, la società e l'economia sono in larga misura dovute alla carenza di fiducia e di un'adeguata ispirazione solidaristica creativa e dinamica orientata al bene comune, che porti a rapporti autenticamente umani di amicizia, di solidarietà e di reciprocità anche dentro l'attività economica». Sottolinea poi Benedetto XVI: «Il bene comune è la finalità che dà senso al progresso e allo sviluppo, i quali diversamente si limiterebbero alla sola produzione di beni materiali; essi sono necessari, ma senza l'orientamento al bene comune finiscono per prevalere consumismo, spreco, povertà e squilibri; fattori negativi per il progresso e lo sviluppo». Il Papa - commenta Domingo Sugranyes Bickel, presidente della Fondazione Centesimus Annus - ci spinge a rifiutare «il pensiero cinico e meccanico sull'economia».

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