Nel Pd è partito il processo a Bersani
Il processo è cominciato. È una vecchia tradizione del Pd. Non a caso, da quando è ufficialmente nato il 14 ottobre 2007, il partito ha già cambiato tre segretari. Il copione è sempre lo stesso. Perdono le elezioni, li tengono un po' sulla graticola e li prepensionano o per via formale (vedi Dario Franceschini) o per abbandono volontario (vedi Walter Veltroni). Pier Luigi Bersani, perdendo le Regionali, ha passato il primo step. E ora comincia a cuocere a fuoco lento. Certo il segretario sgomita, si difende spiegando, dati alla mano, che se non c'è una vittoria non c'è nemmeno una sconfitta. E che comunque il partito, nonostante abbia perso un milione di voti, ha accorciato la distanza dal centrodestra. Una visione edulcorata della realtà che non convince la minoranza. E non solo. Martedì sera, nel corso del coordinamento politico, Dario Franceschini e i suoi sono stati chiari: nessuno mette in discussione la leadership (si dice sempre così), ma serve un cambio di rotta. Magari un ritorno alla vecchia vocazione maggioritaria di Veltroni che, comunque, ha prodotto il miglior risultato del Pd negli ultimi tre anni. Ma Bersani, pur convinto della necessità di rinnovare la classe dirigente del partito, ha fatto capire chiaramente che si va avanti sulla strada tracciata e che il risultato delle Regionali è il punto di partenza da cui partire per lavorare, tutti insieme, alla costruzione dell'alternativa. Così ieri mattina il senatore Gian Piero Scanu (franceschiniano) e 49 senatori appartenenti a tutte le aree del partito, hanno inviato una lettera al segretario. Il messaggio è chiaro: «Il lavoro ordinario non basta più. I ritmi ortodossi sono troppo lenti. Le liturgie della casa stantie. Bisogna cambiare passo». Tra i firmatari il chirurgo Ignazio Marino, la moglie di Piero Fassino Anna Serafini, l'ex portavoce di Romano Prodi Silvio Sircana, ma anche l'ex prefetto di Roma Achille Serra, Tiziano Treu, Felice Casson, Vittoria Franco, Gianrico Carofiglio. La replica di Bersani è tutt'altro che incoraggiante. Un cambio di passo? «Il Pd - replica - ha bisogno di prendere il passo per radicarsi e diventare un partito popolare». In ogni caso, aggiunge, «bisogna lavorare, anche discutere, ma non guardarsi l'ombelico». Nel frattempo, oltre al fuoco interno, continua il fuoco esterno. Beppe Grillo insiste nel chiedere la testa del segretario («dovrebbero andare a casa tutti, non solo lui»). E anche l'alleato Antonio Di Pietro scalpita: «Bisogna trovare entro la fine dell'anno il candidato premier del centrosinistra per il 2013». Ma, spiega, «non può essere Bersani» né uno «degli attuali leader».
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