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Napolitano fa l'assist Il Cav c'è, la sinistra no

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All'uomo qualunque il risultato delle regionali 2010 è apparso chiaro fin da subito: la destra ha vinto, la sinistra ha perso. All'uomo qualunque. Pier Luigi Bersani però non è uno qualunque, lui ha visto un'altra partita. Non pronuncia mai la parola sconfitta, viene colpito dal virus lessicale del «ma anche» di veltroniana memoria e con un colpo degno di Houdini riesce a dire che il Cavaliere è nientemeno che «al tramonto». Strano, perché dopo il voto nel Lazio c'è chi lo dipinge iperbolicamente «eterno». Esagerati. Come in senso opposto lo è la sinistra magica che deve mascherare la batosta. Solo che il maquillage di Bersani finisce per sporcare un risultato che dalle urne è uscito limpido. Avrei preferito vedere un Bersani grintoso, combattivo, ma onesto sul piano intellettuale. Ammettere una sconfitta non significa essere deboli, casomai più forti per affrontare il domani. Niente. Se questo è il carattere dell'opposizione stiamo freschi. La sua netta chiusura verso una riforma presidenzialista, inoltre, fa riemergere l'antico pregiudizio della sinistra che ogni volta vede «l'uomo forte» dietro l'angolo. Abbacinati dal mito di un parlamentarismo che non funziona più ed è anacronistico rispetto ai bisogni del Paese, i democratici rischiano di perdere l'ennesima occasione per imboccare la strada riformista. Di questi passi falsi non si può gioire: un Pd debole è solo un sacco sospeso che Italia dei Valori e grillini nascenti prenderanno a pugni ogni volta che fa comodo. A noi piacerebbe vedere un altro spettacolo. Intanto qui in redazione ci siamo presi la briga di fare un po' di pagelle, dare i nomi di eletti e trombati, ristabilire chi sono i vincitori e i vinti di queste regionali. Non occorre essere laureati ad Harvard per capire che il vincente si chiama Berlusconi. Ieri il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha giustamente auspicato che si apra una volta per tutte una stagione di riforme. Silvio ha subito raccolto l'invito e lanciato la palla sul campo del centrosinistra. Bersani l'ha mandata in tribuna senza pensare neppure a come giocarla. L'arbitro del Quirinale riproverà nei prossimi giorni a far ripartire il gioco, ma l'opposizione appare sotto choc. Nel Pd avevano già fatto stampare i manifesti per dare l'estremo saluto al premier, si ritrovano in sala di rianimazione e un tale di nome Nichi Vendola minaccia di staccare a tutti la spina. Tra gli sconfitti ci sono i giornaloni dell'establishment, Repubblica in prima fila. Hanno trascorso gli ultimi mesi a spiegarci che il centrodestra era agli sgoccioli e sono rimasti con la bocca all'asciutto. Il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari è una macchina formidabile, ma il suo lessico politico, la sua ideologia di giornale-partito, hanno condizionato fino ad oggi una sinistra incapace di essere originale. La segreteria dell'opposizione è in redazione e non nella sede del Pd. Inseguire un mondo autoreferenziale come quello di Repubblica ha condotto il partito a un distacco dalla realtà che fa impressione. Solo che Repubblica alla fine, di fronte a una notizia, rosica ma si arrende e ammette la vittoria di Berlusconi. Bersani resta su Marte. Ieri mi è capitato di stare in compagnia dell'esponente progressista Ignazio Marino e vederlo annuire mentre un senatore leghista in tv spiegava perché il mondo delle piccole imprese e delle partite Iva (e gli stessi operai) nelle regioni rosse votano Lega con passione. Quel movimento del capo per me è l'ammissione degli errori che la classe dirigente della sinistra sta perpetuando da anni. Di questo passo, anche nelle roccheforti rosse i democratici lasceranno il campo al Carroccio e ai movimenti degli «arrabbiati» che fanno molto rumore ma non costruiscono un bel niente. In bocca al lupo. Il Cavaliere ha un'occasione d'oro e non deve sprecarla. Ha davanti a sé un finale di legislatura favorevole. L'Italia ha molte difficoltà, ma è un Paese fortemente patrimonializzato, le sue imprese hanno bisogno di riforme serie sul fronte del welfare e del lavoro. La nostra produzione pro-capite è ancora troppo bassa e le aziende sono sottocapilizzate. Bisogna attrarre investimenti e per farlo occorrono cambiamenti radicali. Occhio alla tentazione del doroteismo e del consociativismo. Sono un ceppo ai piedi del governo e Berlusconi non può permettersi di sbagliare. Ha messo a segno un colpaccio con le elezioni regionali, ha un bottino di voti enorme ma la fiducia degli elettori non è eterna. Il Cavaliere ha un bonus da giocare nel finale di legislatura. Se non lo spreca, fra tre anni sarà ancora lui a tenere il banco e distribuire le carte.

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