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«Siamo dieci volte loro»

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«Eravamodieci volte loro. Il fatto che la sinistra abbia attaccato così la partecipazione alla nostra manifestazione è segno che abbiamo colpito nel segno». È un Silvio Berlusconi su di giri quello che ha trascorso il solito lunedì ad Arcore. Guarda i giornali, legge le dichiarazioni dei leader dell'opposizione e se la gode. «Ecco, guardate anche quello che scrivono i giornali di sinistra. Loro hanno fatto la manifestazione a piazza del Popolo, che al massimo può contenere sessantamila persone; ed era mezza vuota. Noi a piazza san Giovanni, che ne contiene seicentomila ed era stracolma», insiste il Cavaliere con chi tra i suoi lo ha sentito al telefono anche ieri. Si sente galvanizzato il premier. Pensa a quelle persone, al fatto che, ora, si faranno sentire sul campo: «Saranno moltiplicatori di voti», ripete da due giorni sicuro di aver trasferito la speranza della vittoria. La partita più difficile resta quella del Lazio. E nel Lazio il primo avversario da sconfiggere resta l'astensionismo. «Ogni voto non dato è regalato alla sinistra e quindi è perduto», ha scritto in una lettera che a giorni arriverà nelle case degli elettori romani e non solo. Il messaggio del Cavaliere nella missiva è chiaro: «Ora più che mai la sfida è tra noi ed un'opposizione che sa solo dire dei no, che sa solo diffondere veleni, pessimismo e catastrofismo e che a Roma vuole vincere impedendo a noi di partecipare al voto». «La scelta di campo - insiste il presidente del Consiglio - è oggi più che mai tra un governo del fare e l'opposizione delle critiche a vuoto, delle chiacchiere e degli insulti. Una sterile propaganda che non può nulla contro i nostri risultati concreti, perché nonostante tutte le difficoltà il mio governo ha continuato a lavorare bene per tutti gli italiani». E questo sarà anche il messaggio finale della campagna elettorale. Berlusconi si prepara a un tour de force non indifferente: Torino, Bari e poi Bruxelles per il Consiglio europeo, chiusura a Roma anche se non è ancora deciso il luogo. In mezzo telefonate con un ritmo di due comizi al giorno, fisicamente o via cornetta. Il senso sarà lo stesso. Niente promesse, niente jolly finali, niente colpi a sorpresa (almeno per ora, l'uomo - si sa - è imprevedibile). Piuttosto un elenco delle cose fatte e il programma di governo che resta da fare. Le riforme istituzionali, certo. Ma anche la riforma del mercato del lavoro. E la riduzione delle tasse. Il concetto è eloquente: noi abbiamo fatto tante cose, se ci date il voto per andare avanti facciamo le altre. La sinistra, vorrebbe aggiungere, fa solo chiacchiere. F. d. O.

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