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Intervento indispensabile e doveroso

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Mai si è verificata in Italia una situazione simile ed è chiaro che le ricadute, pur difficilmente calcolabili, sul corpo elettorale e sui rapporti tra partiti, avrebbero prodotto squilibri ed incertezza dannosi per il funzionamento della democrazia. Se vi fosse stata tale attenzione, molte accuse e contumelie nei confronti del governo avrebbero potuto essere evitate e un ex presidente della Consulta, qual è Onida, nella sua intervista a Repubblica si sarebbe guardato dal definire legge ad personam il decreto d'urgenza con cui l'esecutivo ha tentato di impedire la nuova guerra civile a suon d'insulti, sospetti e veleni che si stava scatenando. Poiché, forse per deformazione professionale o per il fatto di non essermi mai fatto coinvolgere nella politica attiva, non sono condizionato dalle esigenze del confronto, mi è subito sembrato inevitabile - dal momento che il problema si estendeva alla Lombardia e che i nodi dell'ammissione non venivano risolti in sede amministrativa - che il governo sarebbe dovuto intervenire con un decreto legge. D'altronde è, questo, lo strumento che la Costituzione prevede, attribuendolo solo all'esecutivo, per affrontare i casi di straordinaria urgenza e necessità. Che significato può avere, in una situazione di tal fatta, la circostanza che l'impasse sia stata causata dall'imperizia o superficialità dei delegati dei partiti che si sono presentati in ritardo o con documentazione incompleta oppure dalla esagerata pignoleria degli uffici riceventi o dal malanimo degli organi cui rivolgersi per un riesame dell'esclusione? Nessuno, ovviamente, dato che è comunque certo che le irregolarità verificatesi, pur apparendo (al momento) meramente formali, incidono su eventi che dal punto di vista sostanziale sono enormemente più rilevanti per l'interesse generale. Che significato può avere la circostanza che il partito vittima delle due gravi esclusioni sia al governo? Nessuna, ovviamente. E, per rendersene conto, basterebbe pensare all'ipotesi opposta, ossia al caso in cui non fosse stato ammesso alle elezioni delle due più importanti regioni il principale partito di opposizione, ossia il Pd. Vi è qualcuno che pensi che in tal caso il governo sarebbe rimasto inerte oppure che, se l'esecutivo non si fosse mosso, l'opposizione non sarebbe scesa in piazza fino ad ottenere la doverosa decisione che è stata presa venerdì a Palazzo Chigi? Anzi, in tale situazione l'obbligo "morale" di intervenire sarebbe risultato ancora più forte, proprio al fine di escludere la prevalenza dell'interesse di parte su quello del Paese. La si smetta dunque di soffiare sul fuoco e in particolare di gridare allo scandalo. Anche perché questo ennesimo intervento del governo di centrodestra conferma la sua grande capacità di affrontare problemi che nel passato nessuno ha ritenuto di risolvere. Certo, esso lo ha fatto solo con riferimento alle problematiche odierne che sono il caso del Lazio e della Lombardia; ma questo è quello che era consentito di fare con un decreto legge e sorprende dunque l'accusa rivoltagli da Onida riguardo alla limitatezza dell'intervento correttivo. È ovvio che per il futuro si dovrà procedere per via ordinaria. Ma, in particolare la si smetta di cianciare, perché si rischia di coinvolgere il capo dello Stato che ha agevolato il governo nella scelta di una soluzione alla quale il potere giudiziario dovrebbe adeguarsi anche per quest'ultima ragione. Né si accusi questo grande presidente di eccessivo interventismo: ancora una volta egli è stato costretto a garantire con il proprio peso istituzionale un riequilibrio al quale un'irresponsabile opposizione non ha voluto contribuire.

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