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"In Italia c'è un pericolo attentati Ma la Lega non cavalchi la paura"

Francesco Rutelli

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Senatore Rutelli, lei che fino a qualche giorno fa è stato presidente del Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (Copasir) crede che in Italia esista un serio problema di terrorismo islamico? «Nel nostro Paese è in atto un cambiamento molto significativo. Un tempo potevamo stare abbastanza tranquilli pensando che le intese che furono poi definite "lodo Moro" mettessero l'Italia al riparo da attacchi di matrice terroristica. Oggi è indiscutibile che ci siano reti logistiche e di collegamento che, sebbene non abbiano prodotto ripercussioni sul nostro territorio, hanno operato in occasione degli spostamenti di partecipanti ad alcuni gravi attentati come quello alle Torri Gemelle di New York, o quelli di Londra, Mumbai e Madrid. A dimostrare che il Bel Paese è certamente il luogo di transito e aggregazione, ma non di operazione. Ora può accadere che la propaganda jihadista, ormai diffusasi al di fuori delle catene organizzate, possa provocare delle attività offensive "autoprodotte" da piccoli gruppi. L'esempio di Milano è molto significativo. L'attentato alla Caserma Santa Barbara di piazzale Perrucchetti non è da sottovalutare. Sbagliano sia quelli, come hanno fatto alcuni magistrati, che cercano di minimizzare l'accaduto relegandolo all'attività di un folle isolato, ma sbagliano anche quanti, come la Lega, vogliono a tutti i costi massimizzarlo, facendolo diventare motivo di paura diffusa e di scontro politico. Occorre tenere i nervi saldi: i veri problemi nasceranno quando ci sarà il primo attentato compiuto da un italiano»  Crede che le moschee siano luoghi di reclutamento di possibili attentatori? «La minaccia esiste ma è contenuta. Bisogna tenere alta la guardia e il controllo per evitare che si insedino delle frange antagoniste. Oggi lo Stato è in grado di farlo».  E come possiamo evitare che questo avvenga?  «Non strumentalizziamo mai la minaccia del terrorismo a fini politici. Teniamo la più larga unità nazionale. Per questo rivolgo il mio appello a tutti gli esponenti politici affinché si tengano lontani questi temi, così delicati, dalle polemiche e dalle campagne elettorali» Crede che ci siano dei legami tra criminalità e le vicende di violenza e odio di questi giorni in Calabria? «Secondo me il crimine organizzato della Calabria preferisce gestire e sfruttare la manovalanza e non intende certo avere che fare con aggregati eversivi. Le uniche connessioni rilevanti con la criminalità organizzata hanno riguardato lo scambio di informazioni logistiche per il traffico di esseri umani e tutto il resto della filiera che va dai documenti falsi, agli alloggi fino alla gestione degli sbarchi. In Calabria la 'ndrangheta è sembrata dire con crudeltà: "Qua siete troppi e i guadagni sono pochi. Andatevene"». Lei, dopo quasi venti mesi di mandato, ha lasciato la presidenza del Copasir, a chi vorrebbe passare il testimone? «Il prossimo presidente deve essere di grande autorevolezza e ben accetto da tutto lo spettro politico parlamentare. Ho già tenuto colloqui in vista di questa possibilità ma non voglio trasformare il passaggio in un evento di discussione politica. È una cosa troppo delicata. L'unica cosa che mi sento di dire però a tutti, e soprattutto al Pd, è di prendere una decisione molto presto. Questione di ore, al massimo di pochi giorni». Massimo D'Alema è in pole position? «È ragionevole sia così. E qui mi fermo».  Durante tutto il suo mandato lei ha mantenuto una grande riservatezza lavorando, ma rimanendo nell'ombra. Perché ora esce allo scoperto e soprattutto perché ha deciso di dimettersi? «È vero, è la prima volta che parlo ad ampio raggio del mio impegno all'interno del Copasir e sono contento di farlo con Il Tempo che ha sempre seguito le problematiche sulla sicurezza con molta attenzione. E per questo vi ringrazio. Per quanto riguarda le mie dimissioni credo che fossero inevitabili, non perché siano dovute o siano state richieste, ma perché, fondando il movimento Alleanza per l'Italia, ho preso una nuova responsabilità politica. Un incarico che ritengo incompatibile con quello di chi deve vigilare, con grande attenzione e grande riserbo, sui Servizi, e dunque sulla sicurezza nazionale». Ha dei rammarichi? «Sì, uno. Il fatto che Silvio Berlusconi non sia mai venuto alle audizioni del Comitato. Una cosa grave dato che in alcune materie la legge assegna al presidente del Consiglio delle prerogative che non può delegare». La legge 124 del 2007 in materia di Sicurezza, ha affidato al Copasir la funzione di controllo dei Servizi segreti. Non le sembra che questo però venga meno da una sempre maggiore ingerenza della magistratura? «La nostra funzione è un po' come quella di Giano bifronte. Da una parte guardiamo nell'attività dei Servizi per evitare che essa vada fuori dal recinto dei doveri di uno Stato democratico, come era già accaduto nel passato; dall'altro dobbiamo operare perché non venga indebolita la preziosa funzione dei Servizi. Importante è stata una sentenza della Corte costituzionale nella quale viene stabilito che l'opposizione o l'apposizione del segreto di Stato è un'altissima modalità di difesa di un ordinamento democratico come il nostro. Quella scelta è politica e non può essere sindacata dalla magistratura. Solo il Parlamento, tramite il Copasir, deve occuparsi di valutarne le motivazioni. Nessuno, tuttavia, vieta alla magistratura di indagare, in caso di violazione della legge. Essa, però, non deve disvelare aspetti dell'organizzazione dei Servizi che debbono essere tutelati». In Italia ci sono molti Servizi con il compito di tutelare la sicurezza del Paese. Crede che sarebbe meglio accorparli? «Ora abbiamo due Servizi con la loro autonomia non più dipendenti dall'Interno e dalla Difesa. Oggi il potenziamento del Dis guidato dal Prefetto Giovanni De Gennaro, è una scelta preziosa di coordinamento tra le loro attività. Questo non deve, tuttavia, spingere nella direzione di un servizio unico. Mi viene in mente il viaggio del Copasir a Washington nel luglio scorso. Lì abbiamo toccato con mano che negli Usa esistono almeno 20 servizi di sicurezza chiamati probabilmente a fare troppe cose, e che malvolentieri si fanno coordinare. Il risultato si è visto in questi giorni: non sono riusciti a bloccare il possibile attentatore del volo Delta ed è stato Obama in prima persona ad assumersi la responsabilità di questa falla. Per questo dico che in Italia, dove gli apparati sono ovviamente molto più asciutti, va bene così. C'è una parte che si occupa di sicurezza interna - l'Aisi guidata dal generale Piccirillo - e una che si occupa di quella esterna - l'Aise guidata dall'ammiraglio Branciforte. Sotto l'autorità politica del presidente del Consiglio che ha delegato una persona di sicura affidabilità e capacità come Gianni Letta. L'importante è che operino con efficienza e si scambino tutte le informazioni in un rapporto di piena collaborazione».  Se oggi fosse sindaco di Roma intitolerebbe una via a Craxi? «È indiscutibile che Craxi sia stato un importante statista, una delle maggiori personalità politiche e istituzionali del dopoguerra. Purtroppo ha avuto dei problemi seri con l'etica pubblica. Diamogli dunque il riconoscimento che gli deriva dai suoi incarichi politici e istituzionali, ma non trascuriamo le ragioni di chi ricorda le falle di quel sistema politico in termini di correttezza e trasparenza».  In questi giorni è tornato alla ribalta il famoso archivio di via Nazionale e la vicenda Telecom. Come si muoverà il Copasir in questo frangente? «Se ne occuperà presto, per esaminare l'atto con cui il governo ha deciso di opporre il segreto di Stato» Non è notissimo ma lei ha una fondazione sostenuta, tra i tanti, anche da Fassino e Casini, Realacci e Granata. È il partito che vorrebbe? «No: è la convergenza tra centrodestra e centrosinistra sui grandi temi ambientali. L'associazione, che si chiama Centro per un Futuro Sostenibile, l'avevo fondata più di vent'anni fa prima di diventare sindaco di Roma. Ora l'ho ricostituita perché penso che i temi ecologici siano troppo importanti per essere essere lasciati esclusivamente a un piccolo partito, tanto più se è di estrema sinistra». Gioco della torre: Bonino o Polverini, chi butterebbe giù? «Per ora posso dire di essere insoddisfatto dal modo di porsi da parte di tutti i contendenti. La Regione Lazio ha conosciuto un decennio di governo, centrodestra prima e centrosinistra poi, in cui non si è riusciti ad affrontare le grandi priorità: penso al disavanzo della sanità; penso che manchi ancora un termovalorizzatore e rischiamo l'emergenza rifiuti; penso alle opere pubbliche (non si è messo nemmeno il cartello di inizio lavori dell'autostrada Roma-Latina e siamo fermi con il secondo aeroporto del Lazio che dovrebbe alleggerire quello di Ciampino). A questo punto io avrei preferito candidature che nei prossimi cinque anni riuscissero dove altri hanno fallito e quindi definire una larga intesa che avrebbe permesso di fare le cose che servono per il nostro territorio. Finora invece ho visto una parte, il centrodestra, muoversi convinto di vincere le elezioni solo perché dall'altra parte è scoppiato il caso Marrazzo. Questo mi ha deluso della Polverini che ho stimato anche per essere una persona indipendente dalla politica»  E della Bonino che pensa? «La Bonino si presenta, ad ora, appoggiata solo dai Radicali e dunque con un progetto minoritario. Certo, potrebbe avere l'appoggio del Pd. A quel punto vedremo, ma per ora non vedo un'impostazione orientata al problem solving. Emma era incerta tra presentarsi nel Lazio oppure in Lombardia. ma qui c'è bisogno di gente che lasci i propri incarichi e dichiari di volersi impegnare cinque anni, che vinca oppure perda, nell'amministrazione regionale. Per questo sono critico anche verso di lei».  

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