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E Violante scriveva: "Attenti ai pentiti"

Luciano Violante

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È il 6 aprile 1993. In termini politici un'era fa. E non solo perché Silvio Berlusconi non ha ancora pronunciato il suo famoso discorso della discesa in campo (lo farà nel gennaio del 1994). Presidente della Camera è un «certo» Giorgio Napolitano. Mentre al Senato c'è Giovanni Spadolini. Il governo è sostenuto da un'alleanza tra Dc, Psi, Psdi e Pli. Sigle che oggi hanno il sapore di un passato lontano. L'Italia è ancora sotto choc per gli attentati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Di lì a qualche mese arriveranno le bombe a Roma, Milano e Firenze. E dopo i primi arresti del 1992, Tangentopoli entra nel vivo (il 30 aprile le monetine «investiranno» Bettino Craxi all'uscita dell'hotel Raphael). A quel tempo Luciano Violante è il presidente della commissione Antimafia, che ha il compito di condurre un'indagine sui rapporti fra mafia e politica. La «sfilata» di pentiti e magistrati nelle stanze di Palazzo San Macuto trasforma quell'indagine in una sorta di processo. E il 6 aprile del 1993, con i voti contrari del Msi e del radicale (a quel tempo) Marco Taradash, viene approvata la relazione conclusiva. La parte che fa più discutere è quella che riguarda Giulio Andreotti. La commissione sottolinea come siano «certi i collegamenti di Salvo Lima con uomini di Cosa Nostra. Egli era il massimo esponente in Sicilia della corrente democristiana che fa capo a Giulio Andreotti. Sulla eventuale responsabilità politica del senatore Andreotti, derivante dai suoi rapporti con Salvo Lima, dovrà esprimersi il Parlamento». Quasi una sentenza di condanna. Ma ciò che colpisce è un'altra parte della relazione. Un «capitolo» aggiunto che parla proprio dei pentiti e dei timori di eventuali strumentalizzazioni. «Non si è verificato alcun caso di utilizzazione strumentale di collaboratori - sottolinea la commissione -. Tuttavia occorre evitare tanto l'adesione acritica alle dichiarazioni di un collaboratore, quanto l'utilizzazione strumentale di quelle dichiarazioni ai fini della lotta politica. Il rilievo che i collaboratori hanno nella lotta contro la mafia esige il più grande rigore e sconsiglia l'adozione di atteggiamenti pregiudiziali. Il senso della misura nella politica può contribuire in modo determinante a creare un clima rigoroso e sereno attorno ai processi penali, e a prevenire l'utilizzazione da parte di Cosa Nostra di falsi collaboratori per dichiarazioni calunniose». Parole quasi profetiche.

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