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"Blefari, nulla resterà impunito"

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Diana Blefari

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«La compagna Diana è stata assassinata». Lo slogan ha cominciato a girare negli ambienti antagonisti. La tragica morte di Diana Blefari Melazzi ha dato forza a vecchi rancori e sta fomentando una rinnovata rabbia contro gli uomini in divisa. Il tam tam è scattato appena si è diffusa la notizia. La cassa di risonanza sono stati i siti dei Centri sociali sparsi nella penisola e quelli cosiddetti di «controinformazione». Ovunque il nome di Diana è diventato simbolo di «martirio» e ha dato nuova linfa agli irriducibili della rivoluzione armata. Minacciosi i segnali che parlano di tortura in carcere per la brigatista condannata per l'omicidio del giuslavorista Marco Biagi. Torture «subliminali» e psicologiche, le definsce qualcuno. Come se le prigioni italiane fossero quelle della Stasi o di Guantanamo. In un blog, quello di Paolo Dorigo, ex militante di Autonomia Operaria e Lotta continua, condannato a 13 anni di carcere per un attentato alla base Usa di Avian, si legge: «Non ha importanza che Diana si sia uccisa materialmente o che la abbiano uccisa delle guardie definendo poi suicidio l'omicidio, ciò che conta è il trattamento che quotidianamente è inferto nelle prigioni ai prigionieri che rifiutano la soluzione politica e le linee opportuniste di destre collaborazioniste». Tutti i compagni che al momento dell'arresto della brigatista Blefari Melazzi hanno evitato di commentare le sue scelte oggi sono pronti ad alzare il pugno e a gridare slogan impolverati come «Giustizia proletaria! Nulla resterà impunito!» e ancora «Onore alla rivoluzionaria Diana Blefari». La «Volante rossa» pubblica un comunicato dei Proletari comunisti dai toni inequivocabili «Stammheim italiana... "suicidio di stato" - onore alla compagna Diana Blefari», facendo riferimento al carcere tedesco dove trovarono la morte i capi della Baader Meinhof, le Brigate rosse della Rote Armee Fraktion. Il comunicato prosegue: «La compagna Diana Belfari è stata uccisa dallo Stato della Borghesia Imperialista italiana, non importa sapere come materialmente è sucesso e gli eventuali killer, la compagna è stata uccisa da quella tortura legalizzata che è l'isolamento, l'impedimento a ogni forma di socializzazione, è questo perchè non si è voluta mai piegare». Persino nel blog di Beppe Grillo la morte della Blefari diventa strumento di infamia verso il governo Berlusconi così per cavalcare un tema di facile presa. Tutti segnali inquietanti che allarmano il Dap, dipartimento amministrazione penitenziaria, da cui dipende il sistema carceri e i corpo degli agenti. «Temiamo una recrudescenza terroristica che ponga nel mirino, come in passato, gli operatori della polizia penitenziaria», fanno sapere in forma anonima dagli uffici di via Silvestri. E il direttore del Dap Franco Ionta in una lettera inviata a tutto il personale scrive di rendersi conto del «particolare momento di difficolta», rappresentato da «carceri sovraffollate, carenza di personale, clima di tensione». Ci sono in giro troppe accuse lanciate come sassi nello stagno contro gli uomini in divisa che operano nelle carceri. E quel «nulla resterà impunito» ricorda troppe sentenze di morte scritte con il piombo.

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