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Tutti i copricapi sono ok ma solo a viso scoperto

Il Niqab

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La storia del burqa in Italia? Un'odissea, fatta di leggi e circolari, ordinanze prefettizie e disposizioni dei sindaci, divieti e permessi: dove la sola certezza è mettere ordine. Nel nostro Paese, già nel 1931 l'art. 85 del Regio Decreto del 18 giugno, n. 773, recita: «È vietato comparire mascherato in luogo pubblico». Poi la Legge 152 del 22 maggio 1975, che all'art. 5 afferma: «È vietato prendere parte a pubbliche manifestazioni, svolgentisi in luogo pubblico o aperto al pubblico, facendo uso di caschi protettivi o con il volto in tutto o in parte coperto mediante l'impiego di qualunque mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona. Il contravventore è punito con l'arresto da uno a sei mesi e con l'ammenda da lire cinquantamila a lire duecentomila». La materia si fa però dibattuta negli anni Novanta, quando il confronto con i nuovi arrivati di religione islamica rende più urgente regole chiare. Per le carte d'identità ad esempio, e le relative foto di donne coperte da copricapo, il Ministero dell'Interno - con la circolare del 14 marzo 1995 della Direzione Generale per l'Amministrazione Civile - autorizza l'uso del copricapo nelle foto di cittadini professanti culti religiosi che ne impongano l'uso, purché il volto rimanga scoperto. Cinque anni dopo, con la Circolare del 24 luglio 2000 del Dipartimento Pubblica Sicurezza («Misure atte ad impedire l'uso in pubblico di capi d'abbigliamento idonei a travisare i tratti delle persone che li indossano»), il Ministero dell'Interno precisa che turbante, chador e velo, imposti da motivi religiosi, «sono parte integrante degli indumenti abituali e concorrono ad identificare chi li indossa, naturalmente purché mantenga il volto scoperto». Il che è invece impossibile col burqa! Coerentemente con ciò, nel 2004 il Sindaco di Treviso ordina alla polizia municipale di denunciare le donne con il burqa. Anche i sindaci di Brezzo (CO) e Azzano Decimo (PN) emettono ordinanze che vietano di indossare in luoghi pubblici veli, caschi integrali o altri accessori che coprano il volto rendendolo non riconoscibile. Ma sempre a Treviso, nel 2007, il Prefetto decide di legittimare il velo integrale: «Per motivi religiosi, si può indossare. Basta sottoporsi all'identificazione». Il tutto verosimilmente sulla base di una circolare del Dipartimento della Polizia del dicembre 2004, che legittimava il burqa in quanto «segno esteriore di una tipica fede religiosa» e una «pratica devozionale». La «Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione», approvata con decreto del Ministro dell'Interno il 23 Aprile 2007, stabilisce però al punto 26: «Non sono accettabili forme di vestiario che coprono il volto perché ciò impedisce il riconoscimento della persona e la ostacola nell'entrare in rapporto con gli altri». La Carta non è vincolante ma, secondo l'art. 1 del DM, «Il Ministero dell'interno, nell'esercizio delle proprie attribuzioni, si ispira alla Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione».

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