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Serve una tv che racconti il Paese

Michele Santoro

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Che senso ha? Che senso ha proclamare l'ennesimo sciopero del canone (miseramente falliti tutti i precedenti)? L'iniziativa è di Daniela Santanché, protagonista di mille sortite anche condivisibili. L'ultima, che è stata fortemente sponsorizzata da Libero e Giornale, non ha né capo né coda. Si può spiegare solo in un modo. C'è una parte d'Italia che si sente offesa dalla tv di Michele Santoro, che si sente vilipesa da altre trasmissioni, che non si riconosce in molti programmi della tv pubblica. È quella parte del Paese maggioritaria nelle urne, minoritaria nelle élite culturali. Elite, quelle italiane, che hanno anche una specificità particolare: sono probabilmente le uniche in Europa che negli ultimi cinquant'anni, dai carriarmati in Ungheria, sono puntualmente dietro ai partiti, sono più retrograde della politica, vorrebbero tornare indietro, vivono ancora negli anni Settanta, pensano che gli anni di piombo non sono finiti e sotto sotto vorrebbero che ritornassero a fiorire quelle stagioni. La risposta a questa parte del Paese che usa la clava, alle volte pare incivile, che sogna le teste rotolanti, il sangue che scorre, ebbene la risposta, non può essere sedersi a tavola e mettersi a fare rutti, sputare in faccia ai commensali. No, non può farlo un partito di governo come il Pdl. Non può il Pdl, il partito degli italiani, mettersi a scioperare contro la tv degli italiani. Non può l'area politica che ha espresso la maggioranza nel consiglio d'amministrazione della Rai, il direttore generale, tutti i principali direttori delle testate giornalistiche, non può quest'area attuare una protesta che di fatto sarebbe contro se stessa. Al contrario. Sarebbe ora che quest'area dimostri di essere capace di metter su una sua capacità editoriale. Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato, ha detto di aspettarsi un Santoro di destra, una Gabanelli di destra. È una sintesi forse un po' rozza ma efficace. Anche se il ragionamento è più profondo. Non si tratta solo di metter su una trasmissione che spedisca inviati a Bari per sputtanare quella parte della sinistra compromessa dalle inchieste sulla malasanità o a Napoli a vedere come dopo i rifiuti s'è concretizzato il sacco della sanità. C'è bisogno anche di questo. Ma non solo. Sarebbe opportuno imporre programmi, ma anche temi, argomenti, concetti. Quelli della politica del fare, delle istituzioni che parlano poco e realizzano. Le istanze della famiglia. Il senso della Patria e dell'unità d'Italia. La riscoperta della letteratura. Della nostra storia. Dopo le bandiere rosse, è arrivato il momento di elogiare il manufatto italiano, il secondo di Europa, raccontare come «fare all'italiana» è tornato ad essere — e lo si è visto in Abruzzo — simbolo di ben fatto, di fatto a regola d'arte. Come fino due secoli fa, i giardini all'italiana, erano il simbolo di bello. Non si tratta di fare messe cantate. Si tratta di avere la capacità di dar voce, di raccontare quella parte del Paese maggioritaria ma che non esiste. Solo negli schermi della tv, al cinema, nelle fiction. Insomma la destra la smetta di lamentarsi e affronti seriamente la battaglia delle idee.

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